sanscrito vedico

fonetica


II. – VOCALISMO



19. È importante studiare separatamente il fonismo della parola e quello delle finali di parola. Il primo è più conservativo, nel senso che il contatto di fonemi (almeno consonanti) appartenenti a elementi morfologici distinti porta a minori alterazioni; non è stato soggetto, come la fine della parola, a quelle modifiche dettagliate che sono state accentuate dalle convenzioni accademiche e dalla grafia. Per quanto riguarda l’iniziale della parola, i fatti specifici a questa situazione sono molto rari e poco caratteristici, v. 107

Il punto dominante del vocalismo è che molti fonemi e, all’interno di un dato fonema, molti dei suoi usi, sono correlati con altri fonemi o usi. Queste correlazioni (che, oltre alle vocali, coinvolgono le semivocali corrispondenti, nonché i gruppi an e am) sono generalmente funzionali, a differenza delle correlazioni puramente consonantiche: si tratta di “alternanze” vocaliche, la cui applicazione morfologica sarà data all’inizio dei capitoli sul nome e sul verbo. Dobbiamo prima esaminarle come si presentano, cioè come scambi fonetici.

Separati sono i rinforzi (nella sillaba iniziale) che caratterizzano alcuni derivati secondari, nonché il raddoppio dell’intensivo.

20. Vocale A. - Una vocale può essere (anzi, è spesso) solidale con un’altra vocale (o semivocale o nasale) situata in una forma affine. Ad esempio:

a) Una a (breve) situata prima di un’occlusiva o di una sibilante risponde a una vocale zero e (eventualmente) a una ā: ad es. patati di PAT-, a fronte di paptimá (1° pl. del perfetto attivo) con vocale zero, e papāta con vocale lunga. Questo è l’aspetto fondamentale dell’alternanza morfologica tra un grado cosiddetto pieno o normale, un grado debole o ridotto e un grado lungo o forte (quest’ultimo è autenticamente rappresentato solo in un piccolo numero di forme). In pratica, il vocalismo zero è attestato solo in alcuni radicali verbali (in particolare nelle formazioni raddoppiate) e nei relativi derivati primari. Così, da AS- 1, in smás sánti syā́t, ecc. (e nei derivati stíṣṭi- 204); da GRAS-, negli aoristi (á)kṣan (3° pl.) gdha (3° sg. medio) (I e X), nei derivati agdha° TS. “non mangiato” sátgdhi- VS. “pasto comune”; da BRAS-, in bapsati 47 (babdhām Nigh.); da SAC-, in sáścati (ulteriormente in māṃścatú- -tva- se il significato è effettivamente “accompagnato dalla luna”; cfr. anche ā́skra- “che tiene insieme” e, da una radice omonima, asaścát “inesauribile”).

  1. Forse avatká- AS. “che si precipita”, da ava-TAK.-; ádbhuta- (ánatidbhuta-), se il significato è “non soggetto a essere ingannato”, da DABH-. Da GHAS- con forme raddoppiate è derivato un falso rac. jakṣ-. da cui jakṣīy ā́t 336; come, senza dubbio, da HAS- una radice omofona, che dà il participio jákṣat- 47.
  2. Una vocale zero va postulata anche per spiegare sedimá 27 334 e simili, da SAD-, a partire da *sa-sd-ima. Infine, i desiderativi del tipo śíkṣati hanno come punto di partenza un radicale a vocalismo zero, ma la formazione nel suo insieme è analogica, cfr. 353.

Raramente le formazioni puramente nominali presentano la vocale zero, vale a dire upabdí- (e °bdá) “rumore (di passi, ecc.)”, da pád- “piede” (forse ábda- VS. “anno”), probabilmente anche ápsu- “senza bestiame’ (e kṣumánt- e analoghi 78?) da paśú- “bestiame”; altre più o meno incerte.

  1. Ma la p del tipo anūpá- (ánu + áp- “acqua”), propr. “situato vicino all’acqua” (non autentico psú per apsú “acque” in stobha), come la c del tipo nīcā́ “sotto” (associata a una flessione añc- / ac- 259), se rappresentano stati zero, hanno comunque subito una particolare evoluzione, che tradisce l’allungamento della vocale precedente.
  2. L’elemento suffissale as- ridotto a s (poi abbandonato) in mandhātṛ́- propr. “che porta il pensiero” (ma *mandhā è sentito come una parola semplice, da cui il suffisso -tṛ-); probabilmente anche in sátpati- “signore della casa (sádas-)”; cfr. la disinenza -s di Ab. G. sg. accanto a -as e i casi citati 243 n. 2.

21. b) Una a breve appare come grado ridotto in correlazione con il gruppo an (am) come grado pieno, eventualmente ān (ām) come grado forte. Così, da GAM- abbiamo gatvī́ / gántave / jagā́ma, e analogamente per un certo numero di radicali verbali; per i suffissi -an- e -ant- (-vant- ecc.); per alcuni rari radicali sostantivati, come kṣá (pāvant)- “protettore della terra”, da kṣám- “terra”. Sulla natura di questa a, v. 31.

Si notino gli scambi delle desinenze -m (dopo vocale) / -am (dopo consonante), -ati: (-nti) / -anti e simili; lo scambio dei prefissi sám° / °, con parziale obliterazione delle condizioni fonetiche 160. La variazione del prefisso á°/án° è dovuta a 35.

c) la vocale a appare ancora come primo o secondo elemento nei gruppi ya e ay, ra e ar, ecc. 24-26. Di natura incerta è la a che si trova prima di una y nei dháyati di un rac. DHĀ-2, le cui altre forme hanno ā o ī, forse e in dhenú- “mucca”. Potrebbe trattarsi di una vocale debole o nulla che sarà stata annotata a, come quella di dátra- “dono”, o quella di kṣatrá- “impero”, da KṢĪ- (kṣā-).

22. Vocale Ā, - La vocale ā può essere:

a) il grado forte (o la porzione di un gruppo che rappresenta il suddetto grado) nelle alternanze di cui sopra (e nella serie di seguito);

b) il grado pieno (e forte) corrispondente a un grado ridotto i. Questo tipo di alternanza si verifica nell’elemento finale di alcuni radicali verbali, come sthitá- e ásthita (opposto a ásthāt)di STHĀ-; mai nei radicali dei nomi, né negli elementi suffissali. Inoltre, la correlazione è rara, instabile; potremmo (ma non dobbiamo) lasciarci tentare da spiegazioni analogiche. Inoltre, il grado ridotto i non compare mai prima di una vocale (o prima di y); manca anche altrove 40. Infine, accade che, o per equilibrio quantitativo o per trasmissione di un altro tipo di alternanza, il grado ridotto si presenti nella forma ī: così pītá-/pā́tave da - 1, (a)dhīmahi 456 e analoghi 339 da DHĀ.-; oppure negli affissi di presente in --/ -- (abbinamento quantitativo). In tutto, quattro tendenze per le radici in -ā-: ā immobile (la più frequente); ā/i; ā/ī; infine ā/zero secondo 40. - In un nome isolato, gnā́- “donna divina” / jáni- “donna”. Cfr. anche mahā°/ máhi 259.

  1. Non è escluso che esistesse una quinta tendenza, ossia a/u (parallela a ā/i): il vocalismo u è rappresentato in ° (varnargú- ‘che vaga nella foresta’; anche °gū́- in agregū́- VS. “che avanza”); nell’avverbio °sthú (anuṣthú “immediatamente”, suṣṭhú- “in buone condizioni”); in °pū́- (agrepū́-VS. “che beve per primo”) - 200 °snu- :178 n.1 e alcuni altri. Ammesso questo, l’elemento -u- potrebbe essere lo stesso che, nella forma di vṛddhi -au, ricorre alla finale dei perfetti attivi, 3° sg., di radici terminanti in -ā-. Si noti che la L. sg. in -au è comune ai sostantivi in -i- e ai sostantivi in -u-.
  2. L’alternanza ā/i è attestata talvolta per una ā interna di radice, cioè, ma senza costanza, in ŚĀS- (śiṣat e analoghi; invece śāsmahe 312 sikṣate 327); in SĀDH-(sílhyati, che tende a funzionare come base distinta). Ma KHID (‘appesantire’ è probabilmente da separare da KHĀD- ‘divorare’, e ī́psan AS. di ĀP- dipende da altri radicali di desiderativi en-i- -ī- 353

23. La vocale ā è il grado ridotto, corrispondente a un grado pieno detto “dissillabico” della forma ani (ami), nella porzione che termina il radicale verbale, quindi in jātá- di JAN(i)-, opposto a jánitos. Qui ci sono due soluzioni in competizione: da un lato an, che ricorre nei verbali in ~- (e forme affini) di rac. in -am- (da śrāntá- di ŚRAM-), dall’altro nel desiderativo jíghāṃsati di HAN-, infine nella forma oscura dhvāntá- (X) “oscurità”. La soluzione ā compare altrove: così nel già citato jata-, nei desiderativi arcaici vívāsati di VAN-, śíṣāsati di SAN-, in posizione di fine parola 97: senza dubbio questa è stata l’evoluzione autentica, almeno per la nasale n (il carattere “dissillabico” di jíghāṃsati è secondario, derivante dal contatto tra n e un affisso -iṣ-).

24. Vocali I (Ī) e U (Ū). Le vocali i e u (che vanno di pari passo in termini di alternanza) sono spesso gradi ridotti che rispondono ai gradi pieni e o, ed eventualmente ai gradi forti ai o au. Questa alternanza si ritrova in diversi verbi, come imás / éti / (aít) da I-, o yutá- / yuyóta / yaús da YU- 2; nell’affisso del tempo presente -nu- / -no-. Isolato, nel radicale dei sostantivi °- / góbhis / gaús (261) o °ri- / revánt- / rāyé (ibid.), dove le forme ridotte sono fuori dalla flessione propriamente detta. In alcune formazioni radicali del nome e del verbo, il grado pieno non è e oppure o, ma ya o va, il grado forte . Così in diví / dyávi / dyā́vas 262, o ancora in uśmási / váṣṭi di VAŚ-; nel suffisso -vas- del participio perfetto; forse (al di fuori di ogni differenziazione funzionale) nella doppietta sva° (rara) del prefisso su° 160.

  1. Cfr. anche madrik 390, opposto a madryàk; il suffisso superlativo -iṣṭha- opposto al comparativo -yas-; il tema maghón–249. Tityagdhi secondario di TIJ- KS. VI 9 ikṣva di YAJ- KS. XXXV 1.
  2. L’alternanza i / e / āy (= ai) e u / o / āv (=au) nella flessione dei sostantivi in -i- e in -u- non ha lo stesso significato morfologico delle altre alternanze nominali, v. 270.
  3. La vocale i è ancora l’ultimo elemento dei gruppi alternati ani (amico) avi ari 23 25 26; eventualmente, del gruppo a + occlusiva (+ i) che li affianca, patiṣyati AS. tipo di PAT-: ma qui il senso dell’alternanza è più o meno indebolito, e i tende a essere concepita come un semplice elemento di collegamento 40.
  4. Qui e là abbiamo una i che, come sillaba iniziale, rappresenta uno sviluppo particolare della m (ottenuto secondo 21): simá- accanto a sama- 291; śímyati YV. “lavorare” (var. con śamyati VS.) e śimī(vant)- ‘attivo’ opposto a śámī- ‘lavoro religioso’. Possibile influenza dello scambio ir / r.

25. Le vocali ī e ū, come gradi ridotti, rispondono ai gradi pieni (e forti, confusi) e . Così nel radicale di JYĀ- (jītá- / jyā́yas-) o SVAD- (súṣūdati / svā́date); isolato in un tema nominale, *kanyán- 250; al di fuori di ogni alternanza morfologica regolare, nella flessione nominale in -ī- 267 e secondariamente in -ū-; infine nell’ottativo 303. Inoltre, così come ā risponde ad ani 23, ū risponde ad avi (alternanze “dissillabiche”): così in bhūtá- / bhaviṣyáti di BHŪ-. Parallelamente, ci aspettiamo l’alternanza ī / ayi nei radicali con -ī- finale, ma il grado pieno è eccezionale e addirittura - laddove sembra apparire - secondario, cfr. 4.

Su i e u (brevi o lunghe) come elementi dei gruppi ir (īr) e ur (ūr), cfr. infra e 36 sq.

26. Vocale Ṛ.- La vocale è il grado ridotto che risponde ad ar (e al grado forte ār) o ancora (più raramente) a ra (). L’alternanza ṛ / ar si verifica in diversi radicali verbali, così come nel suffisso -tṛ- (janitṛ́bhyām / jánitar / janitā́ras da janitṛ́- “capostipite”). L’alternanza ṛ / ra in diversi radicali verbali, in particolare in gṛbhṇā́mi / jaqrabha/ grābhá- da GṚBH- in praśná- da PṚŚ- (pṛch-), dove però potrebbe essere entrato in gioco l’effetto del movimento descritto 75 . Infine, nella forma nominale ṛjú- “destra” si contrappone a rájiṭha- e ad altri. Allo stesso modo, abbiamo / al nell’unico verbo in cui compare il fonema (2). D’altra parte, non svolge il ruolo corrispondente a ī e ū; è privo di capacità di alternanza (cfr. 2). È il gruppo īr a rappresentare il grado ridotto, o opposto a un grado pieno (cioè in dīrghá- “lungo” / drāghmán- “lunghezza”, unico esempio chiaro), o, più spesso, opposto a un grado pieno ari, reso come ani 23 o avi 25, cioè “dissillabico”: così nei radicali verbali, come stīrṇá- opposto a stárītave da STṜ-. Per accomodamento articolatorio, troviamo ūr invece di īr dopo un fonema labiale, quindi in pūrtí- “ricompensa” e negli analoghi di PṜ-. Ma, in realtà, le due soluzioni a volte competono, come in TṜ- da un lato tīrná- e altre forme, e dall’altro °tūrtitū́rya (turá- 37) dove il vocalismo è dovuto alla presenza delle basi ausiliarie taru- e táruṣa- che implicano forse un *tṛṇo- (320). In ogni caso, questo vocalismo insolito ha creato il senso di un tema verbale autonomo tūr-. - Sulla soluzione di fine parola, v. 96.

27. Dittonghi. - I dittonghi possono far parte di serie alternate, come abbiamo visto 24, e precisamente come gradi pieni o forti rispondenti a i o u. Questa è anche l’origine della maggior parte delle e e delle o, delle ai e delle au che si trovano nella parola. Alcuni dittonghi, tuttavia, hanno un’origine diversa:

a) Una e davanti a un suono dentato (o, il che equivale alla stessa cosa, davanti a un suono aspirato derivante, secondo 73, da un suono dentato aspirato) si spiega partendo da un gruppo a+ z (suono dentato sibilante 10). Quindi edhí imperativo da AS- 1 e dehí (attraverso daddhí [che è anche attestato] quindi *daz-dhi) da -, così come dhehi da DHĀ- (a cui potrebbe riferirsi anche daddhí). Queste sono le uniche forme evidenti.

A queste va aggiunto il radicale -e- di alcuni perfetti del tipo sed- 331; probabilmente miyédhā́- (cfr. médha-) “pasto sacrificale”, se la forma si scompone in mi- (cfr. máyo dadhe III 1 3) “creò un conforto rituale”) + suffisso -as- + nome-radice dhā-; in medhā́, “saggezza, opera di saggezza”, se l’analisi è effettivamente ma(n)z-dhā (cfr. mandhātṛ- e 103; máno mánasi dhāyi- X 10 3). Oscuro kiyedhā́ (“creare una qualsiasi (forma)”?; Sani: “che contiene o circonda molto”, con una finale originale in -as come nel primo membro).

b) Analogamente, una o è la risultante del gruppo aẓ ( è la sibilante cerebrale sonora derivata da h secondo 73) prima di una dentale sonora, negli infinitivi °voḍhum vóḍhave di VAH- (attraverso *vah-tave, quindi *vaẓ-dhave 56). Ma, d’altra parte, gli altri casi ipotizzabili possono essere estensioni del trattamento di saṃdhi 137 - dato che si verificano prima di una disinenza in bh- o prima di un suffisso secondario in v- – ; d’altra parte, la forma isolata tṛṇeḍhu 56 73 di TṚH- attesta un trattamento vocalico coerente con quello di edhí dehí, cosicché vóḍhave potrebbe in ultima istanza dovere il proprio timbro radicale alla precedenza della consonante v. Su ṣoḍhā́ v. 57.

28. Contrazione delle vocali. - Le vocali lunghe e i dittonghi interni possono essere il prodotto di una contrazione di due vocali all’incrocio di elementi grammaticali. Così il congiuntivo bhárāti = *bhara-a-ti da BHṚ-, l’ottativo bhávet = *bhava-ī-t da BHŪ-, l’aoristo ávocat = *a-va-uc-a-t- da VAC- o atītape 350. Ma non è mai il prodotto di una contrazione; non lo sono nemmeno ai e au, tranne che per alcune terminazioni nominali in cui -ai risulta da ā + e 263 e 267.

  1. Nell’accrescitivo verbale, la soluzione ai- (dissillabica 29) che abbiamo nel tipo aíchas di IṢ-1, a partire da *a-ichas, potrebbe essere analoga alla normale soluzione ait= *a-e-t, di I-, ma cfr. 304. Anche la soluzione ai nelle finali -aithe -aite del congiuntivo 307 deve essere secondaria.
  2. I dittonghi pesanti ai e au compaiono all’interno della parola solo in alcuni casi: a) come gradi forti, alla fine di alcuni radicali di verbi e nomi 24; b) in alcuni “vṛddhi iniziali” 218; c) ai appare anche in -aithe-aite di cui sopra; d) infine, in modo anomalo, in praiṇāná- AS “soddisfatto” (paipp. non confermato) e nel tipo (particolarmente peculiare di AS.) aśarait, per aśarīt, da ŚṜ-, analogo senza dubbio al tipo ajait, acait (cfr. altre forme 346 361). Alla fine della parola i dittonghi pesanti (presenti, in parte secondariamente, nelle terminazioni infinitive e congiuntive; nei casi diretti del duale di genere animato; nel L. sg. di alcuni sostantivi) sono stati spesso ridotti all’elemento antecedente ā 97.

29. La contrazione vocalica, rigorosa nei mantra “scritti”, non deve lasciare l’impressione che la lingua abbia evitato lo iato interno (che è attestato graficamente solo nella forma títaünā, un hapax nel libro X). In realtà, il metro invita alla disgiunzione (vyūha) di alcune vocali lunghe, anche se non è chiaro se questa disgiunzione sia di origine metrica, essendo limitata a poche formazioni; il suo scopo era evidentemente quello di evitare una vocale lunga ostruita o un gruppo di tre consonanti, e talvolta anche di evitare un monosillabo. Il fenomeno si verifica soprattutto al taglio o alla fine di un verso. La struttura preistorica delle sillabe interessate ha giocato un ruolo nel far precipitare il movimento, che alla fine porta alla “licenza” poetica. In ordine di frequenza, il fatto interessa: prima l’inflessione G. pl. (-ām, comprese le finali in -nām e -sām) (molto spesso); poi l’Ab. sg. -āt; le vocali ā́ e ū́ in radicali di temi monosillabici (compresi i pronomi mā́m vām tā́m yā́m); l’elemento īr (ūr) in gīrhhís “voce”, dhūrṣú “giogo” e simili; la e del tipo préṣṭha- “più amato” (da leggere ord. come se ci fosse práyiṣṭha-, anch’esso attestato; e anche, se del caso, il quadrisillabo p.rayiṣṭha-3 8); la e della parola śréṇi “linea, serie, fila” (restituire *śrayaṇi-), del tipo deyām 340; la ā del suffisso participiale -āna-: quindi forme quasi unicamente nominali.

Isolatamente, la disgiunzione raggiunge le desinenze nominali -ān -īs, la particella nū́ (come se ci fosse u), la preposizione ā́, forme sparse come vés e gós 238 261, o nāsatyā n. dell’Aśvin (da pronunciare ord. *naasatyā); l’affisso ā del congiuntivo, alcuni accrescimenti (28) prima della vocale. Altre sillabe ancora, con vari gradi di probabilità. Sul caso del N. pl. -ās (-āsas), v. 276.

La prima delle due vocali ottenute è breve; anche la seconda può esserlo. Dopo RS. la disgiunzione diventa rara, se non per sopravvivenza; la diminuzione è marcata già da RS. recente: śréṣṭha° trisillabico RS. è eliminato da u sréṣṭha° SS. II 764. Possiamo paragonare in qualche modo le distorsioni causate dal canto degli SVedin.

30. Consonantizzazione delle vocali. - Le vocali i e u (brevi e lunghe) si presentano in forma consonantica, cioè come y e v, quando si presentano prima di una vocale, così in ninyáthuḥ di -, in juhvé di -; il fatto non riguarda la i secondo 22, che cade 40. Allo stesso tempo, i dittonghi consonantificano nella stessa posizione il loro elemento successivo, in altre parole e e o si presentano nella forma ay e av, così in nayati da -, gava da - ‘mucca’; ai e au si presentano nella forma ay e av, così, dagli stessi temi, in ninā́ya e gā́vas.

31. La consonantizzazione riguarda anche la vocale , che prima di una vocale si trasforma in r, quindi pitré da pitṛ- “padre”. Nella stessa posizione, la vocale a presa come grado ridotto del gruppo an (am) 21 si presenta prima di una vocale nella forma n (m): ciò sottolinea abbastanza chiaramente il ruolo svolto qui da a, quello di una vocale nasale (= *ṇ): in altre parole a è in relazione a n (m) ciò che è per r o ciò che i (u) sono per y (v). Così áhnā da áhan- “giorno”, opposto a áhabhis; o ágman da GAM-, opposto a gatá.

r (consonante) compare non solo prima di una vocale, ma anche prima della y del suffisso secondario -ya-: ad esempio, in pítrya- “paterno” (esempio unico) la cui vera forma metrica è *pitriya-. Analogamente, n in vṛ́ṣṇiya “maschio” da vṛ́ṣan- e simili, da leggersi *vṛṣṇiya-. Allo stesso modo, i dittonghi si scompongono in ā̆ + y o ā̆ + v secondo 30 prima di qualsiasi suffisso in -y- (compresi gli assolutivi), anche non risolvibili in -iy-. Ma gli unici casi chiari sono per o (au), ad esempio návya- “che deve essere lodato” da NU-, bhāvyá- “futuro” di BHŪ-; anche in gavyā́- “desiderio o piacere di vacche” (e gavyú- gavyánt-), gávyūti- “pascolo” (se la parola risale effettivamente a gávy(a) + ūti- 116). Per i dittonghi e ai, cfr. il tipo di verbo in - ā́yya- 366 e 171 n. fin. che suggerisce lo stesso risultato. Le finali in -oyu- 203 n. 1 e simili sono mantenute solo con -o- perché si ritiene che si basino su composti in -as- + yu-. Infine, il dittongo -e- compare immodificato in derivati nominali del tipo °déya- “dare” e deya- “che deve essere dato”; nell’ottativo del tipo deyām (340) e nel preposizionale dello stesso vocativo (348): cioè in radici in -ā- finale, prima di un affisso o suffisso in y-. Ma l’elemento -e-, qualunque sia l’interpretazione precisa, è certamente secondario, cf. l. .citt. e 365. -

32. Il processo di consonantizzazione avviene spesso in forma più complessa. Al posto di y (v) davanti a una vocale, troviamo anche la soluzione iy (uv), in altre parole viene mantenuto il valore sillabico. Il testo scritto attesta questo trattamento nei seguenti casi:

a) A volte per una i (u) situata all’iniziale assoluta, come in iyé iyáti di I- (ma non nelle forme yánt- yanti dello stesso verbo), in uvé di U- (forme monosillabiche impossibili); mediatamente anche in uvóca, perfetto di UC- e analoghi, in íyarti di - dove era necessaria a tutti i costi una sillaba distinta che sostenesse il raddoppiamento; la particella u è scritta uv nel Taittirīya (cfr. TPr.). TPr.); b) Più spesso per un radicale ī (ū) di temi nominali monosillabici (e relativi infinitivi) (sempre nei temi impiegati allo stato semplice e più spesso in quelli alla fine di un composto), Così bhiyā́ da bhī́- “paura”, bhuvé da bhū́- “terra” (ma prahyè, infinitivo di HI-, davanti a hiyé, o yajñanyàm “che guida il sacrificio”, davanti a dhíyam “pensiero”. Cfr. 264 n.

La risoluzione iy (uv) si estende al participio corrispondente, quindi bhiyāná-; tranne che in svāná- SS. “pressato” (anche “stimolante”; scritto suvāná- nel RS., ma è vero che si pronuncia svāná- almeno dopo la sillaba leggera), forse per influenza dell’omonimo svāná- (“rumoroso” da SVAN-).

33. c) La stessa risoluzione si trova ancora in temi al presente (tipo tudáti) come huvá- (áhuva) da - (accanto al tema aoristo senza risoluzione scritta áhva-), in una forma nominale come dúvas-199, di solito alle basi ridotte dei verbi terminanti in -u- (-ū-), quindi dudhuvīta da DHŪ-; ma i verbi in -i- (-ī-) mantengono la y semplice nel tempo perfetto (ninyáthur in );

d) Infine, dopo una consonante doppia: dabhnuvanti da DABH-, śiśriyé da ŚRI-. Se abbiamo ūrṇvánt- da ūrṇoti (accanto ad aporṇuvánt-), è perché la forma è stata creata a partire da *ṛṇvánt-. Cfr. 229.

  1. Il gruppo occlusivo + ry ha un’altra soluzione 31, tranne che nel presente passivo e nei relativi (kriyáte 38) dove l’occlusiva si trovava nell’iniziale.
  2. Si noti la soluzione di -ūv- in (á)bhūvan- babhū́va e analoghi da BHŪ-, in sasū́va da , per attrazione delle numerose forme vocaliche lunghe di queste radici. Alcuni suffissi in -īya- possono quindi derivare da vecchie -ya- con risoluzione lunga 229.

34. In questi numerosi casi, il metro ci invita ad andare ben oltre le risoluzioni (vikarṣa, vyūha) del testo scritto, e a rendere iy (uv) in molti punti dove leggiamo y (v). Così svàr “cielo” va sempre letto come s(ú)var, e allo stesso modo, con poche eccezioni, tutte le parole con il tono svarita. Così, in particolare, l’inflessione dei sostantivi in -ū́- e in -ī́- (tipo Ac. tan(ú)vam da tanū́- “corpo”) dove la risoluzione va contro le tendenze ritmiche descritte più avanti!

Tra le rare eccezioni, asuryà- (sostantivo; l’aggettivo asur[i]ya- è quadrisillabico) potere degli asura vasavyà- “ricchezza”, dove il passaggio a -iy- violerebbe le tendenze ritmiche.

Queste risoluzioni includono anche: a) la maggior parte dei derivati in -ya- (dopo consonante), cioè quasi tutti gli aggettivi d’obbligo e tre quarti degli altri, come yúj(i)ya- “associato”, div(i)- “celeste” (riserva 229); b) spesso il pronome personale tvá- (soprattutto all’inizio del verso); c) molto spesso il pronome dimostrativo tyá-; d) spesso l’I. sg. (-, ma non le altre finali -yās -yai -yām) e il duale in -yos di sostantivi “derivati” in -ī-, come śám(i) da śámī- “lavoro rituale”; e) molto spesso l’inflessione -bhyas, meno spesso -bhyām; f) talvolta l’affisso ottativo --, in particolare syā́m 39. Sporadicamente, altrove ancora.

Le condizioni ritmiche di base sono: y (v) dopo sillaba leggera (o ancora: all’iniziale assoluta), iy (uv) dopo sillaba pesante o dopo una consonante iniziale (semplice); la situazione della parola in testa al pāda favorisce la risoluzione.

  1. Così abbiamo dvā́ “due” dopo una sillaba leggera, d(u)vā́ dopo una sillaba pesante o all’inizio del verso. Il tema bruv(á)- compare sempre dopo una vocale breve, mai dopo una lunga o dopo una consonante. Infatti, una vocale lunga precedente provoca la risoluzione meno spesso di un gruppo di consonanti. D’altra parte, la y (v) che risale a una vecchia i (u) è più facilmente vocalizzata rispetto alla y (v) di origine consonantica.
  2. Molte forme, anche in condizioni favorevoli, resistono alla risoluzione: così la finale di G. -asya (tranne una volta), o dyā́vā “cielo e terra”. È eccezionale che la y- iniziale sia soggetta ad essa; tuttavia la relativa - sembra leggersi (i)- in alcune teste di pāda.

Storicamente, il passaggio a iy uv diventa più raro a partire dalla RS recente. Tuttavia i Taittirīya, anche negli yajus, privilegiano iy uv dopo due consonanti e viceversa danno y v dove altri mantra hanno iy uv, così kṣyántam da KṢI-; analogamente, meno chiaramente, la JS. L’arcaismo degenera in singolarità scolastiche. I teorici prendono in considerazione il fenomeno solo in modo molto incompleto, RPr. VIII 40 XVII 23; ibid. 14, si postula chiaramente la grafia iy per y.

  1. Un segno indiretto della risoluzione iy (uv) è la vṛddhi di i (u) del tipo sauvá- 218.
  2. Si noti il valore monosillabico (*yám, o sineresi secondo 81?) del pronome iyám, all’inizio di pāda.**
  3. *Lo scambio *y/iy, u/uv provoca alcune forme analogiche alla fine della parola 113. Inoltre, lo scambio v/uv porta a uno scambio complementare m / um in alcune forme verbali, a partire da kṛṇmahe 319; poi nella doppietta smád / sumád (particella), a partire da una base sm = sa, che abbiamo in sahá; isolatamente, in iṣmín- (= *iṣumin-) “fornito di frecce”.

35. Parallelamente a iy (uv), la risoluzione in an (am) prima di una vocale si verifica - dove in virtù del 31 n è prevista - in condizioni simili, ossia :

a) nell’iniziale assoluta, nel prefisso privativo a(n);

b) dopo la consonante iniziale, nel tema (ridotto, come indica il tono) gamá- di GAM- (inizio di pāda o dopo sillabe pesanti, opposto a ágman e simili dopo sillabe leggere; un po’ come áhuva-/ áhva- sopra 32). Ma, anche dopo l’aumento o il raddoppiamento, abbiamo questo stesso trattamento in forme come ásanat (aoristo tematico) o ájījanat (aoristo raddoppiato) dove molto probabilmente l’elemento -an- rappresenta un grado “ridotto”;

c) dopo un gruppo consonantico, cioè nei suffissi -man- -van- preceduti da una consonante, quindi áśmanā 249: ma (sebbene la struttura consonantica sia la stessa) śīrṣṇā́ da śīrṣán- ‘testa’.

  1. L’enclitica sama-, essendo usata dopo la sillaba pesante (34), ha una -am- derivata da -m- ed è quindi classificabile come b.
  2. Troviamo ancora -an- nella finale di alcuni rari membri anteriori, prima di una vocale iniziale del membro posteriore, come in vṛṣaṇaśvá- “ai cavalli maschi”.
  3. Per estensione, la soluzione -an- si verifica in alcuni casi prima di alcune consonanti. Nel caso del participio perfetto in -vas-, l’unico esempio contrario, sasavás- da SAN-, va letto come *-anvas- come gli altri sono scritti, come indica il metro. Stessa soluzione davanti a un affisso verbale in y- in gamyā́t e analoghi da GAM-, dove è vero che la natura dell’elemento -am- è incerta. Queste forme equivoche hanno dato origine a ulteriori scambi tra an/n e am/m. Prima di un suffisso secondario in y-, abbiamo analogamente rājanyà- “di casta reale”, che per inciso va letto *rājaniyà-. Queste estensioni sono in parte analogiche. A maggior ragione, la presenza di un -an- “ridotto” prima di un’inflessione verbale in m-, come áganma(hi), deve essere il risultato di una propagazione del grado pieno oltre i suoi limiti, di cui esistono altri esempi.

È raro che la risoluzione an (am) debba essere introdotta in un testo scritto con n (m). In questo caso l’ortografia è molto più fedele che nel caso di y (v), probabilmente perché le forme in questione erano molto più rare. Tuttavia, è consigliabile leggere *yaj.na- cinque o sei volte per yajñá- “sacrificio” e introdurre la forma -man- -van- (prima della vocale) dei temi nominali terminati dai suddetti suffissi, anche in assenza di consonante antecedente: così nā́mnas, da nā́man- “sostantivo”, va letto *nām°nas. Cfr. 249.

36. Nelle stesse condizioni, possiamo avere prima della vocale ir al posto di r (ottenuta secondo 31) - e anche ur, adattandosi all’ambiente labiale. Vale a dire:

a) nell’iniziale assoluta, prob. in uloká- (l secondo 67), cfr. 8 ; 8. 8 ; e nel gruppo íraj(y)- “essere padrone di”, irádh- “vincere”, írasy(a)- “irritare”, varianti delle radici RĀJ- RĀDH- *rās- (parlando di una doppietta ṛj- ṛdh- *ṛṣ-), che potrebbe essere stato influenzato dall’attuale iyarti di -, e dagli iyakṣati desiderativi di A()Ś- (che hanno determinato anche gli ínakṣati di NAŚ- 2). Infine in urú- “largo” (per *vuru- da VṚ- 1?); b) dopo una consonante iniziale (e preferibilmente all’inizio della pāda o dopo una vocale lunga), quindi murīyá da MṚ-, opposto a °mamri- AS.; o kuru (e analoghi) da KṚ-, dove il timbro di u è controllato da quello della vocale terminale. - Su ir ur alla fine di una parola, v. 96.

  1. Per estensione - così come abbiamo an prima di y- e v- secondo 36 - troviamo ir (ur) prima di una y- (v-) in forme come giryós da giri- “monte”, kuryā́t da KṚ-, dove il sistema morfologico richiedeva inoltre la generalizzazione dell’elemento ir (ur) acquisito prima di una vocale.
  2. Una soluzione -ar- (parallela a -an- -am- 35) potrebbe essere stata adottata qua e là: potrebbe spiegare una forma come jaharur AS., perfetto “debole” di HṚ- (non confermato dal metro) e altre grafie del genere, soprattutto in AS.; apparentemente anche i tipi ákarat (aoristo radicale tematico), adīdharat (aoristo raddoppiato).

37. Ma la maggior parte dei gruppi ir (ur) non sono uno sviluppo di r, sono piuttosto una variante di īr (ūr) acquisita da 26. In altre parole, si è sviluppato un senso di scambio ir/ īr, dove la forma breve tende a comparire prima di una vocale, quella lunga prima di una consonante. Questa è la ripartizione che abbiamo nei temi monosillabici in -ír- -úr-, quindi gír- “canto”: gíras/ gīrbhís (e N. sg. gī́r che risale a gir+s 256). Da questo N. sg. e da forme analoghe, la lunga è passata addirittura, a) prima della consonante alla situazione di fine della parte anteriore, ad es. pū́rbhid- “demolitore di fortezze” (con alcune eccezioni); b) in posizione finale, a due nomi-radici in -ís -ús- trattati come se fossero in -ír- -úr-, cfr. 256.

Accanto a tīrtvā́ e analoghi, da TṜ.-, abbiamo quindi turá- “che attraversa” (timbro u secondo 26), tiráti, ecc.; accanto a gīrṇá- o stīrṇá-, da GṜ- e STṜ-: giráti °stiré e analoghi. Il caso di purú- “molti”, con il f. pūrvī́- (ma urvī́- è rifatto su urú- “grande”), è particolarmente convincente. Lo stesso vale per śíras-/ śírṣán- “testa”. Alcune forme la cui alternanza originaria è iṛ/ar presentano anche īr (ūr) prima di una consonante (così °vū́rya- “scelta” da VṚ- 2, cfr. l’ottativo vurīta; ūrṇoti dal VṚ- 1), ovviamente come controparte di ir (ur) 36; viceversa, le formazioni con alternanza īr/ari hanno basi con r, quindi tuvigrá- “che divora molto”, opposto a giráti. Questo è un aspetto della dislocazione dei sistemi “dissillabici”.

Se lasciamo da parte la questione dell’origine di īr (ūr) / ir (ur), possiamo praticamente mantenere la regola menzionata sopra: aspetto breve prima di una vocale, aspetto lungo prima di una consonante. Abbiamo īr prima di una vocale in alcuni rari casi come īráya- ī́rate (da *īrte?), da una (falsa) radice īr- dove il vocalismo lungo bilancia la pesantezza della sillaba pre-affissale nella maggior parte dei causativi. Al contrario, abbiamo ur in caturthá- AS. YY. “quarto” (forma antica turī́ya-) reso su catúr-. Prima di un suffisso o affisso in y- o v-, la vocale rimane parzialmente breve: kuryā́t citato 36, turyā́ma da TṜ-, ma imper. tūrya, derivato °tū́rya-, ecc.; da JṜ-, jujurvás- e ajuryá-, ma jūryati jū́rya-; da GṚ- 1, juguryā́t ma assolutivo °gū́rya. Vediamo tendenze distinte a seconda della natura delle forme.

38. Quando ci aspettiamo, nella sillaba iniziale, r (come grado ridotto di ar) + y, la soluzione riy secondo 32, valida per una parola con suffisso -ya- (dopo consonante iniziale) come priyá- “caro”, si estende anche al presente passivo (KṚ- tipo kriyáte) e alle forme correlate (avidriyá- “che non deve essere diviso”, su *driyate), sebbene la -ya- del passivo non abbia mai una risoluzione in (i)y. Analogamente, in isolamento, nell’ottativo cakriyās di KṚ-, nel precativo bhriyāsam VS. di BHṚ- (affisso -- parzialmente risolvibile).

  1. C’è fluttuazione, nella terza sillaba, nell’ottativo jāgriyāma TS./ jāgṛyāma VS. MS. di ()GṚ-.
  2. Soluzione parallela in ruv per un derivato in -v-: dhruvá- (e dhrúvi-) ‘fattoria’ da DHṚ-.

A volte un elemento vocalico (una a ultra-breve?) deve essere ripristinato metricamente dopo un gruppo consonantico prima di r: così in índ.ra- n. proprio. Dopo una consonante iniziale all’inizio di pāda, nella particella p.rá (passim, talvolta anche all’interno, dopo sillaba pesante). Dopo una consonante non iniziale, in rud.**rá- n. proprio (probabile influenza della parola índra-). Infine, in qualsiasi posizione, e quasi costantemente, nel duello in -tro di temi in -tṛ-. È la controparte dei già citati trattamenti (i)y (u)v e (a)n (a)m, e la vera resa sarebbe in ir ur (gli avverbi purás purā́ sono inoltre la rappresentazione grafica di questo sviluppo, opposto a prá). Al contrario, il tema verbale tirá-, essendo attestato dopo una vocale breve, è (secondo 39) in parte da pronunciare *tra-.

Questi casi, come quello di yaj.- 35, sono talvolta considerati svarabhakti o “(inserimenti di una) frazione di vocale”: così intende Pr., che descrive la vocale inserita come ultrabreve 15; le Śikṣā contano fino a cinque varietà, a seconda della durata o del timbro. Ma la vera svarabhakti è solo quella che si verifica tra una r (o una l) e una sibilante, davanti a una vocale (secondo l’APr. è una svarabhakti di doppia durata): così in dar.śatá- “degno di essere visto” o, in una congiunzione composta, in dhūr.ṣádam “che sta al timone”. Il timbro della vocale inserita era probabilmente adattato all’ambiente circostante. Questa vocale è presente nella grafia solo in rari casi in cui la plausibilità morfologica la sostiene, cioè nell’aoristo ā́bhāriṣam AS./ ā́bhārṣam RS. (da cui deriva variṣam “pioggia” Kap. XXYII 6).

La soluzione -iṣam è abbastanza frequente nei mss di AS. (compreso paipp.) e in Kap. Ma dhūruṣádam TB. dhūruṣāhau TS. sono cattive letture; nulla può essere derivato da arhariṣváṇi- (significato? – secondo il Sani, “esultante, detto di indra”) (da HṚṢ-?); più probabilmente, tarásantī, per *trasantī. Prima di h, upabalihāmahe LŚS. da VALH-. Per reazione, mārṣāma MB. II 4 2 = mā riṣāma “non facciamo del male!”. Sul caso di púruṣa- / *pūriṣa-, v. 81.

39. Situazione generale delle semivocali (e delle nasali). -

Possiamo riassumere schematicamente la forma assunta dalle semivocali in varie posizioni relative. In posizione intervocalica, così come nell’iniziale prevocalica o nella finale postvocalica, le semivocali (e le nasali) hanno un aspetto consonantico, yánti da I-, bhávati da BHŪ-. All’interconsonantica, all’iniziale prima di una consonante o alla finale dopo una consonante, prevale l’aspetto vocalico: uktá- da VAC-, diṣṭá- da DIŚ- (e di conseguenza la nasale assume la forma a 21). Dopo la vocale ā̆ e prima di una consonante, l’aspetto è dittongato (e o ai au) o (che equivale alla stessa cosa) ar (al) an am: così éti da I-, naús “nave”. Dopo una consonante e prima di una vocale, l’aspetto è consonantico se la sillaba precedente è leggera, ˘sijā́m da AS-1; se è pesante, la semivocale si sviluppa in iy uv (an ar), -s(i)yā́m.

Due semivocali intervocaliche presentano l’aspetto consonantico se la sillaba precedente è leggera, aryá- “nobile”; sviluppo, come sopra, nel caso opposto, ā́r(i)ya- “ario”. In posizione iniziale prima di una consonante, la prima semivocale è consonantica, vidmá da VID- 1; analogamente dopo una vocale, ávidat. Dopo una consonante e prima di una vocale, la prima semivocale è vocalica, la seconda consonantica, divás da dyú- (dív-) “cielo”; l’inverso - con sviluppo della y in iy, ecc. - quando la consonante precedente segue una vocale breve, ˘ bruvá- da BRŪ-. La situazione è complessa nell’iniziale prima di una vocale. Infine, all’interconsonante, la soluzione è consonante + vocale, cakrúṣe da KṚ-; sviluppo in iy, ecc. della prima semivocale se la sillaba precedente è pesante, -kuvíd “avv. inter. se (ptc. usata nelle domande dirette e indirette)”.

40. Scomparsa delle vocali. - Lo sviluppo delle vocali è tanto frequente quanto rara è l’eliminazione delle vocali. Abbiamo visto 22 che la i prevista dall’alternanza i/ā non compare mai prima di una vocale (né prima di y); né, nella stessa posizione, compare la i finale delle basi “dissillabiche” 23-25. Per comodità metrica, questa i tende a scomparire anche davanti a una consonante, da cui la fluttuazione jánman- / jániman- “nascita” (favorita dalla compresenza di due suffissi, uno -man, l’altro -iman-), soprattutto nel N. Ac. pl. jánimā(ni) / janma. Più in generale, la cosiddetta i “di collegamento”, che abbia o meno origine da questa i “dissillabica”, non compare mai prima di una vocale: al contrario N. sg. in -ivā́n (participio perfetto), il pl. ac. è -úṣas, cfr. 24 n. 3.

  1. Le radici alternate in -ā- finale hanno conservato (o ripristinato?) i solo in rare forme verbali e nominali, per lo più post-ṛgvediche (un piccolo gruppo in aoristo radicale 339 n. 2). Il grado ridotto è normalmente lo zero vocativo 318. Allo stesso modo i non compare in nessun caso debole di sostantivi in -ā-, nemmeno prima della consonante.
  2. Allo stesso modo un affisso verbale ī (da una vecchia i) svanisce nel tipo gṛbhnánti 321; anche un radicale ī da - 2 nel 3° pl. jahati e (prima dell’affisso modale -y-) in jahyur AS. La disinenza -ur mantiene inoltre il suo timbro, indipendentemente dalla struttura del radicale.
  3. Per ragioni di armonia morfologica, la vocale tematica scompare prima della vocale disinenziale nel tipo bháve (1° sg. medio) - *bhava-e da BHŪ-. Tuttavia, nel sostantivo, il contatto di due vocali risulta sempre in una contrazione regolare; analogamente, nel verbo, per le terminazioni del 1° sg. medio in -ai 308 n. 3; in -e da -a + i ibid.
  4. Perdita isolata di una u- iniziale in hapax (II) (iva) śmási, 1° pl. di VAŚ- : rifatto su smási, 1° pl. regolare di AS- 1.
  5. La caduta della y- iniziale prima di una i, quella della v- prima di una u, è talvolta postulata per spiegare iyakṣati (a partire da YAJ-, ma cfr. 36) e urú- (a partire da VṚ- 1, cfr. ibid.): in ogni caso abbiamo vurīta (37) da VṚ- 2, e il tipo uvā́ca non si spiega necessariamente postulando un punto di partenza *vuvāca, cfr. 332.

41. Variazioni quantitative. - Le variazioni quantitative delle vocali sono numerose. Il dominio privilegiato è quello delle terminazioni di parola e delle posizioni assimilate 408. All’interno, i fatti sono discontinui. La tendenza più comune (ma ben lungi dall’essere portata a compimento) è quella di spezzare una serie di tre brevi o (il che equivale in parte alla stessa cosa) di determinare in una parola lunga una sequenza giambo-trocaica (cfr. la sāmavaśa, propriamente “uniformità”, descritta RPr.). Le vocali interessate (all’interno) sono i e u più spesso di a, e l’allungamento è significativamente più frequente dell’accorciamento; avviene prima di una consonante semplice e in un ambiente di sillabe leggere. È come se, laddove le doppie quantitative appaiono linguisticamente possibili, la lingua scegliesse in base alla convenienza ritmica. I teorici riconoscono solo un piccolo numero di casi.

42. Questo spiega i raddoppiamenti lunghi, come vāvṛtúr di VṚT-, davanti a vavárta 332. Gli allungamenti prima di un suffisso in v-, prima di un affisso verbale in y- (denominativo, passivo, assolutivo), sono abbastanza numerosi, a volte addirittura obbligatori, ma già qui interviene un fatto nuovo (che, tra l’altro, spiega in parte anche il tipo vāvṛtúr), ossia la natura del fonema post-vocalico. Allo stesso modo, l’allungamento di a nell’accrescitivo verbale si verifica (quando si verifica) solo prima di una semivocale (in particolare una v-) 304 . D’altra parte, l’affisso in y- dell’ottativo non porta mai all’allungamento (tipo iyāt di I-). Sulla congiunzione -i-, v. 190.

  1. Esistono alcuni casi di allungamento prima di una spirante (radicale), come una sorta di sostituto di un grado pieno: così rī́ṣant- di RIṢ- (pdp. ríṣant-, attestato una volta nel Libro I), ápīṣan AS. IV 6 7 da PIṢ-, gū́hati da GUH-, tūṣṇī́m ‘in silenzio’ da TUṢ- (cfr. per il senso jóṣam nella classe skt.).
  2. Abbreviazioni non ritmicamente condizionate: bhuriṣā́ṭ “che vince molto” (bhūri-; da puru°). Con trasferimento di quantità, virāṣā́ṭ “che sconfigge i guerrieri” (vīrá-, dalla massa di composti in -ā-sāh- ). In dīdihí (accanto a didīhí) da -, l’abbreviazione radicale compensa il raddoppiamento, che è lungo in tutte le forme del verbo. Ma nīnima TS. III 2 8 g di - va contro il metro.

43. In diversi casi il metro invita a reinserire una lunga : così púruṣa- “uomo” va letto genericamente pū́ruṣa- (scritto, peraltro, in diversi passaggi); caráthā “camminare”, scritto una volta carā́tkā, va ripristinato così tre volte; in pāvaká- “purificare”, la quantità va invertita in *pavāka- (come se la parola derivasse da un *pavā- “strumento per purificare”? ). Una ā va ripristinata in alcune sillabe raddoppiate, in particolare prima di una v- o di una r-, negli accrescimenti verbali (soprattutto prima di v-), in uṣásam “aurora” (scritto anche uṣā́sam) e simili. Al contrario, una a breve è richiesta in diverse forme del tema nominale °sā́h- (in casi deboli), in viśvā́hā “sempre”, che per inciso si scrive anche viśváhā (e che in teoria potrebbe risalire talvolta al composto víśva + áhā, talvolta al derivato in -). A volte la pdp. dà la quantità esatta.

  1. Un’altra variante è suṣúttama- MS. KS./ suṣū́ttama - VS. “che preme (o: che stimola) bene”, basandosi su una coincidenza di due radici.
  2. Allungamento determinato da kampa 85 (caso raro), hy ū̀gráḥ = hi ugráḥ I 165 6 e 10.

44. Esiste una serie di allungamenti del radicale a in sillaba leggera, cioè nel perfetto (forte), nel causativo, nell’aoristo “passivo” e nell’aoristo in -iṣ-: sono ritmici, poiché in sillaba pesante le stesse formazioni hanno una a breve, ma lo scopo principale era quello di ottenere per i radicali a seguiti da una sola consonante la stessa struttura metrica degli altri tipi di radicale pieno. Questo stesso tipo di allungamento si ritrova, anche se in modo meno uniforme, nei derivati primari 189; nei temi nominali del tipo dātā́tram, rājā́nam, uṣā́sam (cfr. 43), l’allungamento suffissale era, per quanto organico, facilitato dall’esistenza di variazioni quantitative in generale; esso contribuiva a marcare più chiaramente la distinzione tra grado pieno e grado ridotto.

  1. C’è un altro allungamento condizionato nell’aoristo raddoppiato 342.
  2. Sull’allungamento cosiddetto “compensatorio”, v. 56: è anche a titolo di compensazione per la perdita di una vecchia sibilante sonora se conta come lunga in MṚḌ- (2 56).
  3. Sporadico allungamento di a prima di un gruppo consonantico in svā́ṃkṛta- TS. (variando con sváṃ°) “di cui si è appropriato” (fatto su mā́m°); in āntarikṣa- Kap, e in pochi altri rari casi, forse volgarismi. Sull’avyathī́s, v. 383.
  4. Sugli allungamenti dell’articolazione composta o dell’arto successivo, v. 162,165.

45. Variazioni del timbro. - Il timbro delle vocali rimane di norma stabile. Il caso di pṛthivī́- “terra” (=*pṛth(u)--) - accanto a pṛthvī́- (che è più spesso usato come aggettivo “vasto”, ma che talvolta va ripristinato laddove il testo reca la forma trisillabica) - potrebbe essere spiegato dalla sopravvivenza di una i organica, cfr. prathimán-. Eccezionale (all’unione dei composti) il caso di syoná- (in realtà, *s(i)yona-), propriamente “dolce, gentile, piacevole, gradevole (spec. per passeggiarvi o per sedervisi sopra), quindi: comodo posto a sedere, luogo o situazione piacevole”, da su + yóni-.

Probabile assimilazione timbrica in iṣídh- “assegnazione (di favore)” rifatta su niṣṣídh- in virtù dell’equazione íṣ-kṛ-/ níṣ-kṛ- 104: opposto a iṣudhyati ‘mirare a’, che ha conservato il vocalismo autentico di íṣu-iṣudhí-. Enigmatico iyatha 2° sg. del perfetto di I-, per iyetha: in kvèyatha, hapax di RS. (e eyátha, iyátha AS.), da terminazioni al presente in -atha.


[1] Trascriviamo qui uniformemente con


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