sanscrito vedico

fonetica


III. – CONSONANTISMO

46. Accomodamento della sonorità. - Nel consonantismo, i fatti massivi sono quelli prodotti dal contatto di due consonanti appartenenti a elementi morfologici distinti; sono di natura accomodativa. L’accomodamento della sonorità si verifica in entrambe le direzioni, ma è contenuto entro certi limiti:

a) un’occlusiva sonora diventa sorda davanti a qualsiasi fonema sordo (in pratica, davanti a t e s), quindi átti e átsi di AD-. Ma l’evoluzione è ben diversa quando la sonorità è aspirata;

b) un’occlusiva sorda diventa sonora davanti a qualsiasi consonante sonora (praticamente, davanti a dh e anche davanti a bh, ma il caso di bh non è molto convincente perché la posizione è assimilata a una desinenza), quindi ámugdhvam 53 da MUC-, marúdbhis da marút- n. proprio.

  1. Inoltre, davanti a una v- o a una n- (m-) di alcuni suffissi primari o secondari, per imitazione di saṃdhi 124 190 21
  2. Da occlusiva sonora a nasale, un’assimilazione (sempre da saṃdhi 124) avviene negli aggettivi verbali in -na- da radici in -d-: ánna- (diventato sostantivo) “cibo” da AD-, ºtṛṇṇa- VS. da TṚD- con il primo , secondo 64, il secondo secondo secondo 64 n.

47. Perdita e rinvio dell’aspirazione. - Un’aspirata sonora perde l’aspirazione davanti a una consonante (in pratica, davanti a una s iniziale di un affisso): yótsi (t secondo 46 a) di YUDH-; anche (caso eccezionale davanti a una s radicale, in 3a pl. bapsati per *ba-bhs-a-ti 20. La h aspirata nella stessa posizione si riduce alla (semplice) gutturale muta 59: sákṣi ( secondo 63) di √sah-.

Tuttavia, la forza aspiratoria, che in linea di principio è assorbita dalla s (cfr. 10), può essere trasferita alla consonante precedente se questa è di natura tale da ricevere l’aspirazione, cioè se è un’occlusiva (non già aspirata) e per di più un’occlusiva sonora: così dhákṣi (= *dah-si) da √dah-, ádhukṣat (= *aduh-sat) da DUH- ( secondo 63). In fine parola, la scomparsa di s 99 porta a un rinvio obbligatorio, poiché l’aspirata motivante si trova in finale, quindi ºdhúk (= *duh-s) da DUH-, °dhrúk da DRUH-, *bhút da BUDH-. Ma, all’interno della parola, non c’è stato alcun trasferimento di aspirazione in origine: da qui adukṣat dukṣán e analoghi da DUH-, dákṣat- da DAH- (e dakṣi se la forma appartiene effettivamente a questa radice). Il pdp. ripristina la dh iniziale in queste forme, secondo la tendenza che si evince da RS. e che prevarrà in seguito.

L’occlusiva iniziale j non riceve mai l’aspirazione di trasferimento (jh è inoltre limitata alle onomatopee), jakṣīyāt= *ja-ghs-īyāt 336, jákṣat- 20 n.

48. Lo stesso trattamento è previsto prima di dh-, ossia la perdita o eventualmente il rinvio dell’aspirazione. Questo è infatti ciò che è attestato in indhvám (in realtà *ind(h)-dhvam 18) da √indh-, in vóḍhvam 61; yódhi (vicino a spṛdhi) sarebbe un ulteriore esempio (dato 18) se la forma deriva effettivamente da √yudh-, cosa dubbia; per quanto riguarda bodhí (“osserva” = *bodh-dhi) da √budh-, potrebbe esserci stata l’influenza dell’omonimo bodhí (“sia”) da BHŪ-, che a sua volta deve il suo vocalismo radicale all’altro bodhí, reso in questo senso come yandhí o edhí.

Sulla h nella stessa posizione, v. 55 e 61.

49. Davanti ad un’occlusiva sorda (non aspirata) (in pratica, si tratta di t), contrariamente al 46 “la sonorità della consonante precedente si generalizza nello stesso momento in cui la sua aspirazione scivola al secondo posto: tipo rabdhá- di RABH-, per *rabh-ta-“. Analogamente, quando la consonante aspirata è una h: a seconda che la h salga a gh secondo 52 o a dh secondo 55, avremo da un lato dagdhá- da DAH- (g semplice 47) per *dagh-ta-, dall’altro ūḍhá- da VAH- (ū 56) per *uḍ-ta.

Il trattamento conforme a 46 e 47 si verifica solo nella 3° sg. dhatté (da-dh-te) e analoghi (anche *dhatthas - **da-dh-thas) da *DHĀ-, che è stato determinato sia dalla corrispondente 2° pers. dhatse (da-dh-se) sia dall’analogia di *datte e analoghi da -. Si noti, inoltre, che in questa radice l’aspirata è iniziale e non finale. Ma abbiamo anche, per una radice con aspirata finale, dhaktam (I) per *dagh-tam di DAGH- (invece del previsto *dagdham) e a maggior ragione dhak (3ª sg., stessa radice) per *dagh-t, secondo la 2ª sg. dhak per *dagh-s e le altre forme fatte secondo 47.

  1. In gdha e negli analoghi 20, il contatto gh-t è avvenuto dopo la caduta di s 72, partendo quindi da *ghs-ta. Analogamente in babdhā́m 20.
  2. Il caso molto raro di un’aspirata sorda davanti a una t- sembra aver portato alla perdita dell’aspirazione in gṛṇatti AS. di GRANTH-, ma la forma è piuttosto una variante illegittima di kṛṇatti di KṚT-.

Tutto ciò equivale a dire che, in un gruppo di due consonanti, di cui una è un’aspirata, l’aspirata non può comparire in primo luogo. Questa è pura teoria quando il Pr. pone khṣīrá- (10) per kṣīrá- “latte”

La doppia aspirata, attestata in alcuni mss (così per -ḍhḍh-, anche in saṃdhi), è valida solo in rare onomatopee o parole espressive: akhkhalīṛ́kṛtyā 17 (ma: akkhalī° nei ms kaśmīrien), jájhjhatī-, detto del suono dell’acqua.

50. La regola precedente si applica anche quando c’è un’aspirata all’inizio di una sillaba e un’altra nella sillaba successiva: la prima perde l’aspirazione per dissimilazione preventiva. Questo ha il suo dominio privilegiato nei raddoppiamenti verbali (e forme correlate), tipo babhū́va per *bha-bhūva di BHŪ-, jarhṛṣanta (j secondo 52) di HṚṢ-, badbadhé (disposizione consonantica unica) di √BĀDH. Nel raddoppiamento dissillabico (intensivo), la perdita della prima aspirata non è prevista: tuttavia RS. ha dávidhvat- da DHŪ- (influenzato da dódhu- vat-? ) e (hapax) pánīphaṇat- (n dentale dissimile di ) di PHAṆ-, contro bháribhrati di BHṚ- e altri: anche qui due tendenze si scontrano.

Se la seconda aspirata appartiene al suffisso, si mantiene l’aspirata precedente. Le eccezioni sono rare: vidátha- “disposizione” può essere stato attratto da VID- 1, anche se la parola stessa appartiene a VIDH- (una falsa radice derivata da vi+√dhā-); bodhí da BHŪ-, attratto dall’altro bodhí 48; infine jahí, un imperativo da HAN-, è stato facilitato dalla presenza di numerose alternanze consonantiche in j/h e dall’impossibilità di avere *jha-hi.

51. Alternanze tra gutturali e palatali. - L’alternanza consonantica più significativa è quella tra occlusive gutturali e palatali. Il movimento interessa le gutturali k g e gh; tra le palatali, c (che non partecipa a nessun’altra alternanza), j (che partecipa anche a 55), h, che si comporta qui come l’aspirata di j (su un’altra h, cfr. 55); le aspirate ch e jh restano fuori dal movimento, almeno per quanto riguarda gli scambi morfologici considerati all’interno dei mantra.

La palatale compare ovunque come modifica della gutturale; esprime la volontà di adattare la gutturale alla qualità del fonema successivo (“palatalizzazione”). Il principio di distribuzione è il seguente:

a) La palatale è presente davanti a una vocale o semivocale palatale, cioè davanti a i e y: ójīyas- “più vigoroso” davanti a ugrá-; cittá- “osservato” davanti a kéta- “intenzione”. La gutturale si trova qui solo per analogia con forme vicine, come kímkīm, °kis, forse kiye° 27) da - “chi?”, essendo la forma prevista cid mantenuta solo come particella; o in jigyúḥ e jigīṣati rifatti da jigā́ya da JI-.

La palatalizzazione non sembra verificarsi prima di una i (autentica) del tipo 24 n. 3: tigitá- “acuto” da TIJ-; ma okivás- da ā́+ UC- potrebbe essere stato costruito da ókas- “piacere”, che avrà anche dato luogo a ok(i)ya- “dimora, abitazione”. Non si verifica nemmeno prima dell’ir (īr) di 37, quindi kiráti di KṜ-.

52. b) Prima di una vocale ā̆ e di un dittongo, anche la palatale è la regola, nella misura in cui i suddetti fonemi risalgono ad antiche vocali palatali. Questo è il caso del raddoppiamento verbale (e delle forme correlate), dove è stata stabilita in modo stabile una correlazione c/k, j/g e j/gh (j 50), come cakā́ra in KṚ-, jagā́ma in GAM-, jaghā́sa in GHAS-. Simmetricamente, la gutturale è stata introdotta secondariamente nella porzione radicale delle radici che iniziano con una palatale, almeno prima di una vocale: così abbiamo jaghā́na di HAN- e (la palatale si forma secondo 51) jigā́ya di JI-, cikéta di CIT-, Le palatali mantenute nella sillaba radicale, così jajā́ra AS. di JṜ-, si spiegano con 54; tuttavia la sequenza j-h è normale per le radici che iniziano con una h-.

  1. Al raddoppio dissillabico (intensivo), l’alternanza cessa di giocare: abbiamo kárikrat da KṚ-. Tuttavia, accanto a kániṣkan da SKAND-, è attestato anche caniṣkadat e cfr. canīkhudat/ kánikhunat 354: caratteristica fluttuazione dell’intensivo, cfr. 50.
  2. Al di fuori del raddoppiamento, abbiamo h in ṛhánt- “piccolo” che risponde a gh in raghú- “debole, leggero, veloce”; in isolamento, dúghāna- da DUH-.
  3. Prima di una u, ancora gutturale in vaṅkú- “tortuoso” da VAÑC-, réku- “vuoto” da RIC-.

53. c) Davanti a occlusive e sibilanti, la gutturale è presente. Davanti alle nasali c’è esitazione: gutturale in gmás (condizionata, sembra, da fatti dissimilatori) opposta a jmás in kṣám- 259; in rukmá- “brillante” in RUC- e in alcuni altri; gn nel verbale in -na- (rugṇá- “rotto” da RUJ-); ghn per il radicale n in HAN-, in jaghné e analoghi. Ma j in áyujmahi e analoghi da YUJ-, opposto a yuṅkté e yokṣyáte, h in vaimi- “che conduce”, opposto a vákṣat da VAH-.

  1. C’è una gutturale propria di VSK. nel tipo tanakmi di TA(Ñ)C-, opposta al tanacmi di VSM. párijman- “camminata circolare; che circonda” (cfr. pṛthugmán- “dal largo sentiero”) deriva da GAM-, ma influenzato forse dal già citato jmás.
  2. Prima di r e v, nei derivati primari prevale la gutturale in -ra- (ā́skra- 20), la palatale altrove: áyujran e yuyujré da YUJ- (cfr. ancora °júgvan-), duduhré da DUH-.
  3. L’alternanza gṛ / jar si conserva in gṛṇāti / járate “cantare”, ma il legame tra le due forme non è più sentito e járate si sposta verso il significato di “sorvegliare”, associandosi così a ()GṚ-.

54. Queste alternanze si sono dislocate sotto la pressione morfologica, che ha imposto il mantenimento di uno stesso fonema, in generale, durante la stessa flessione (il caso di hánti / ghnánti di HAN- è eccezionale). Così la palatale si è affermata alla fine della radice, davanti alla vocale tematica (śócati da √śuc-), prima degli affissi verbali (arcáyati da ṚC-) e delle frasi vocali iniziali (yuyója da YUJ). Nei sostantivi, si trova anche prima di suffissi vocalici primari diversi da -a-, come vacaná- “che parla”, ójas- “forza”, ma anche sóka- “luce”, +árka- “raggio” dalle radici ŚUC- e ṚC- sopra menzionate.

  1. Rara è la gutturale prima di -as- (ókas- 51, bhárgas- “splendore”), prima del suffisso d’obbligo (avimokyá- AS. “che non deve essere sciolto”, parivargyá- AS. “evitabile”), a causa dell’influenza del suffisso secondario -ya-.
  2. Talvolta una forma isolata conserva un aspetto consonantico insolito nella flessione: così divākará- “sole” da CAR- (“qui va le jour”: stando alle numerose forme in °kara-), forse anche, dalla stessa radice, tuvikūrmí- “possente nell’attività”; jamatº (in n. proprio) da GAM; caniṣṭám aoristo da KAN- (e cániṣṭhat, corruzione di un congiuntivo cániṣat dall’aggettivo cániṣṭhā vicino); gáya- “forza vitale” da (V)- e l’omonimo gáya- “beni e ricchezze” da JI-.

55. Alternanza tra palatale e cerebrale. - Un’altra serie di palatali, che comprende la sibilante (ś) come sorda, alcune delle j come sonore e alcune delle h come aspirate, si alterna alle cerebrali (occlusive e sibilanti) in condizioni molto diverse.

a) La cerebrale (in forma occlusa) sostituisce la palatale alla fine della parola 99 e nelle posizioni assimilate 112. b) Allo stesso modo (caso raro) davanti a una dh- disintegrata: così mṛḍḍhvám AS. mṛḍhvam TS. di MṚJ- per *mṛj-dhvam (ḍh secondo 61). Ma quando c’è un contatto tra h e dh-, l’esito atteso (48) ḍḍh si conserva solo in una forma citata dal Nigh. e quindi dubbia, mimiḍ(h)ḍhi da MIH-; altrove h passa a * (h) 61.

  1. L’unico caso di barbṛhi (X) (dove conta come lungo!) da BṚH- per *barbṛh-hi 73, attesterebbe un’evoluzione h > *ẓ(h) prima di h- (da dh-), ma si può presumere l’influenza di dardṛhi da DṜ- e simili.
  2. Davanti alla desinenza -su, quindi in una posizione assimilabile a fine di parola 112, il trattamento uniforme è kṣ 59: vikṣú da viṣ- “clan” (nonostante il N. sg. viṭ). Tuttavia anaḍútsu (dissimilazione) da anaḍváh- “animale da tiro” implica *anadúṭsu con -s da h-s 72; analogamente viprúḍbhis VS. (99) da viprúṣ- “goccia” suggerisce un parallelo L. pl. in -uṭ-su.

56. c) La cerebrale (in forma sibilante) sostituisce la palatale davanti ad una dentale muta (che poi assimila alla cerebrale 60), quindi iṣṭá- da YAJ-, aṣṭaú “otto” opposta ad aśītí- “ottanta”. C’è quindi un’attenuazione di j secondo la 46 a. Ma, nel caso in cui il fonema originale sia h, la sibilante cerebrale sonora prevista (ẓ) svanisce dopo aver cerebralizzato (61) e sonorizzato (49) la dentale seguente, che (ibidem) riceve anche l’aspirazione: così *vóḍhave e simili, da VAH- (o secondo 27), per *vah-tave, o tṛṇéḍhu (73) da TṚH-. Per una sorta di compensazione della perdita della sibilante, la vocale antecedente, se breve, si allunga: gūḍhá- da GUH-, per *guh-ta- da *guẓh-ta- *guẓ-dhá-; forse mīḍhá- “sfida, controversia, conflitto” (da cui mīḍhvás- “generoso”), se la forma è effettivamente, come sembra, legata a MIH-. L’allungamento di non si nota graficamente, ma la metrica lo rende percepibile, così tṛḍhá- da TṚH- dove conta come lunga. La vocale a si allunga anche in áśāḍha- “invincibile” da SAH- e analoghi, in bāḍhá- “solido” da BA()H-, ma deve essere secondaria.

Su dṛḍhá- di DṚH- si è formato dṛdhrá- “fermo” con la prevista ḍh nascosta in dh a causa della successiva r; non è esclusa l’influenza di mṛdhrá- “ostile” e analoghi.

57. d) La sibilante cerebrale (se non derivata secondariamente da s 63, nel qual caso vale: havíṣṣu 146) passa a occlusiva cerebrale prima di una s finale (caduta) secondo 55: N. sg. del nome-radice ºdvíṭ di dvíṣ- ‘che vuole male’, per *dviṣ-s 103; ma altrove, la s finale della radice si evolve come palatale secondo 56, quindi dviṣṭá- (con secondo 60 a) di DVIṢ-; analogamente, prima di dh- (come 55), il gruppo aṣ passa a *aẓ (che cerebralizza il dentato 61) e termina in o secondo 27 b : cioè in ṣoḍhā́ “in sei modi”, da ṣáṣ + suffisso -dhā (cfr. 73 e 137); il gruppo i passa a *aẓ (che cerebralizza il dentale) e termina in o secondo 27 b. 73 e 137); il gruppo iṣ (caso eccezionale) passa anche a (h): viviḍḍhi da VIṢ- (viṣṣhí AS. è dubbio).

e) Il gruppo k, alla fine della radice, si comporta come semplice prima di t-: cáṣṭe di CAKṢ- (contrariamente a 71), taṣṭá di TAKṢ-; come semplice k davanti a t desinenziale (caduta alla fine della parola) della (falsa) radice MYAKṢ- nel 3° sg. ámyak (I) (spiegazione alternativa Nigh.). Prima di dh-, il trattamento è come quelli di ṣ semplice in (unico esempio) tāḍhi di TAKṢ- (X), per *takṣ-dhi (cfr. 55 e 61): questo sarebbe l’unico caso in cui la vocale ha subito un allungamento compensatorio. jagdhá- (I) non deriva direttamente da JAKṢ- (20 n. 1), ma da GH(a)S- 72 n. 3. -A proposito del contatto kṣ+s, v. 59 n.

f) Infine la ch palatale è trattata devunt t come se fosse : pṛṣṭá “chiesto” e pṛṣṭhá- 209 di PṚCH-, così come in áprāṭ (fine parola) e áprākṣam della stessa radice, che è vero potrebbe con qualche ragione essere posta *PṚṢ-, almeno in queste forme radicali preconsonantiche. L’origine di ch è inoltre complessa, e il valore di “posizione” che questo fonema assume, in modo più o meno costante, fa presumere che esso derivi, in un gran numero di casi, da un antico gruppo di due consonanti. Ciò è confermato dalle variazioni nei mantra volgari, che scrivono ch per ts o kṣ (79) o viceversa ipersanscritizzano ponendo ts o kṣ per ch. La grafia dei mss dà talvolta cch (KS. anche śch), che la maggior parte degli editori riduce a ch secondo un tacito insegnamento teorico.

58. Abbiamo appena visto che h partecipa (come j) a due tipi di alternanza. Sporadicamente, h è anche la forma disocclusa di dh in posizione intervocalica: sahá “con” opposto a sadha° (forma compositiva, accanto a saha°); hitá- da DHĀ- (e dall’aoristo ahita AS.) opposto a súdhita-. La radice RUH- ha una variante RUDH- (vīrúdh- “pianta” e alcune forme verbali) che porta per metatesi a VṚDH- - cfr. anche HVṚ- opposto a DHVṚ- 76 n. 1.

Nella desinenza dell’imperativo 2° sg. attivo, abbiamo -dhi dopo il 2o sg. attivo, abbiamo -dhi dopo una consonante (anche caduta; mai -hi), -dhi o -hi dopo una vocale: -hi quasi sempre nei trisillabi (l’eccezione più rilevante è śṛṇudhi da ŚRU-, una variante di śṛṇuhí, forse emanazione di śrudhi); -dhi e -hi nei dissillabi, con una preferenza per -hi dopo una vocale lunga e -dhi dopo una breve, tranne che nelle forme “logore” stuhi e soprattutto ihi gahi (gadhi, hapax) che generalizzano la forma senza occlusione, ovviamente più adatta a un’elocuzione rapida. La tendenza generale è incompleta e la distribuzione potrebbe essere in parte dialettale.

  1. svā́hā (interiezione), come variante di svadhā́ (tema nominale), con una distinta affettazione rituale. Naddhá- da NAH- è secondario, su baddhá-
  2. Analoga fluttuazione tra h/bh in GṚBH-: h compare soprattutto nei mantra più tardivi, derivati nominali inclusi; ma prima della consonante bh resiste, tranne (per RS.) nell’hapax gṛhṇātu (27 temi opposti in gṛbhṇā́; AS. inversa). In kakúbh- “cima” / kakuhá- “animale con la gobba”, esiste una terza forma kakúd- “cima” che può poggiare su un *kakudh- (N. sg. kakút), un altro allotropo. Infine, c’è una parziale confusione semantica tra HṚ- e BHṚ-, che ha causato la forma ibrida jabhā́ra (da BHṚ) per *jahāra (è attestato solo jah[a]rur AS.) ed è anche responsabile di una variazione come āhārṣam paipp. (ex corr.) / ā́bhārṣam AS. VI 52 3. Cfr. anche jarbhṛtás, járbhuriīti 355 e l’oscuro jarbhárī (X).

59. Questa complessa situazione ha portato ad alcuni slittamenti: confusioni all’interno di una stessa radice, tra la trattazione secondo 51 e quella secondo 55. Da SṚJ- si formano così da un lato sṛṣṭá- srāṣṭam e analoghi, dall’altro ásṛgran, il derivato sárga- e analoghi. Da MUH-, sia mūḍhá- che mugdhá-, dove è stata introdotta una sfumatura di significato.

  1. Da RUH-, árukṣat (X) e °ruḍha- AS., anche se nel punto di partenza c’è una h < dh 58.
  2. Da máh- “grande” deriva incidentalmente majmán- “maestà”. La parola pakthá-, se il significato corretto è effettivamente “il quinto”, attesta un galleggiamento della consonante finale della radice davanti a paṣṭhauhí- VS. “(animale) nel suo quinto anno”.

C’è un caso in cui il trattamento di tutte le palatali (compresa la h), gutturali e cerebrali è confuso: si tratta di prima di s, dove l’esito comune è k (55 n. 2), quindi vakṣi ( 63) da VAŚ- e VAH- come vakṣyati da VAC-, e anche vikṣú (nonostante viḍbhís 55); vivekṣi da VIṢ-. È altrimenti sulla finale (prima di un s caduta secondo 99, cfr. víṭ N. sg. che risponde a vikṣú, e vivés 99 che risponde a vivekṣi); altrimenti anche nel caso (raro) in cui cerebral è una vecchia s cerebralizzata (havíṣṣu 57).

dukśas VII 4 7 deriva probabilmente da duṣ- (cfr. Nir. III 2). In cakṣi (e cakṣva 18) di CAKṢ-; il gruppo kṣ- è stato trattato come semplice (cfr. 57 n. ); ma in jóṣi da JUṢ- la riduzione da -s a è avvenuta prima che potesse verificarsi il passaggio da a k: riduzione ispirata dalla frequenza della struttura neṣi di NI-, ecc. 316.

60. La cerebralizzazione. - Un altro fenomeno che conserva più chiaramente il carattere di accomodamento fonico è l’importante movimento noto come “cerebralizzazione” (nati). Esso influisce sulle varie dentali in modi diversi.

a) In primo luogo, un’occlusiva dentale sorda diventa cerebrale dopo un (qualunque sia l’origine di ): vṛṣṭí- “pioggia” da VṚṢ- e suffisso -ti-; pṛṣṭhá- 57.

Incidentalmente e secondariamente, lo stesso movimento avviene dopo un’occlusiva cerebrale: ī́ṭṭe da ĪḌ- e disinenza -te.

61. b) Allo stesso modo, una dentale sonora diventa cerebrale dopo una sibilante cerebrale sonora (*ẓ) caduta secondo 73: quindi (caso raro) ástoḍhvam da STU- e affisso s seguito dall’inflessione -dhvam.

La traccia della sibilante sta proprio nell’effetto prodotto sulla dentale.

È possibile che ĪḌ possa quindi risalire a una radice iṣ- estesa grazie a d. L’imperativo tāḍhi è spiegato in modo simile, 57. C’è un’estensione del fenomeno per una d- situata all’inizio di un membre successivo, del tipo dūḍā́ś- (e puroḍā́ś-) 135 100 n. 2. -

c) Più frequente; è il caso di una dentale sonora aspirata (primaria o secondaria) che diventa cerebrale dopo una h che (secondo 55) risale a una vecchia ḍh; l’esito è quindi (da [h]-dh) * (h)-ḍh secondo 56, quindi ḍh ibid. Così, a partire da una dh secondaria (da t), gūḍhá- da GUH-; a partire da una dh primaria (disinenza in dh-) vóḍhvam VS. = *vah-dhvam da VAH- (o secondo 27).

Accessoriamente, la dh- disinenziale diventa cerebrale anche per effetto di una precedente (secondaria, 55): mṛḍḍhvám l. cit.

62. Questa regola non esaurisce l’origine di tutte le occlusive cerebrali presenti nei Veda. Molte di esse hanno un’origine indefinibile; sono in gran parte secondarie, peculiari dei mantra recenti, e per di più rare (16) al di fuori dei gruppi risultanti dalle normali evoluzioni fonetiche. Si noti avatá- “fonte, pozzo” che cambia in avaṭá- da SS. paḍbhís è insolito in quanto appartiene a pad- “piede”: è stata ipotizzata l’influenza di un omonimo da páś- “sguardo” o “ostacolo”: IV 2 14, dove il significato di “piede” è innegabile, avrebbe quindi subito l’impronta fonica del paḍbhís del verso 12, che potrebbe significare “con gli occhi” (páḍbīṣa-páḍgṛbhi- equivoco).

63. Più massiccio è il passaggio da s a per effetto di un fonema precedente (contiguo). Vale a dire:

a) di una vocale - diversa da ā;

b) di una delle consonanti k r o (i cosiddetti fonemi nāmin o “cerebralizzanti”; nel caso di -s si tratta naturalmente di un banale caso di assimilazione). Così formiamo i L. pl (con inflessione -su) agníṣu vikṣú (k 59) gīrṣú havíṣṣu (57) da agni- “fuoco”, viṣ- “clan”, gír- “canto”, havís- “oblazione”. Il movimento avviene anche attraverso un anusvāra (così N. Ac. havī́ṃṣi) o un visarjanīya (havíḥṣu, variante mss per havíṣṣu). È ostacolato di norma dalla consecuzione di r (o ), anche non immediata (un fatto di differenziazione, che implica il carattere “cerebrale” di ): così tisrás da tisṛ́bhis da trí- “tre” sisarti da SṚ-.

Tuttavia, una radice come JUṢ-, dove è organica, mantiene questo davanti a una disinenza in r-: ájuṣran; analogamente abbiamo il V. uṣar (dove r è finale vera), nell’hapax del Libro I, davanti a usrā́s e analoghi, “aurora”. La lingua ha voluto evitare la sequenza di più fonemi cerebrali, come dimostra sisakṣi di SAC- accanto al 3° sg. siṣakti, o yāsisīṣṭhās di -.

  1. Infatti, a parte i casi di dissimilazione sopra citati, che sono molto rari, la sequenza is us compare solo in parole isolate, senza etimologia, presumibilmente prese in prestito.
  2. L’ausvāra è paralizzante nel caso di HIṂS- e NIṂS-, così come nel sostantivo radice púṃs- “uomo di sesso maschile”: si tratta di formazioni s (stem), non di formazioni s suffissali come nel tipo havī́ṃṣi di cui sopra. In PIṢ-, deve trattarsi di un vero e proprio --finale, da cui la forma piṃṣ- del tema debole, confermata dal 3° sg. pináṣṭi (mentre HIṂS- dà hinásti AS.; su piṇák, v. 65 n.). La sequenza aṣ è inoltre rara: parole prive di etimologia o analogiche, come praṣṭi- 148.

La sonora corrispondente *z diventa *ẓ nelle stesse condizioni, prima di scomparire secondo 73; comprese le *ẓ da postulare sotto dūḍā́ś- 61, comprese anche le terminazioni del tipo īm̐r 128, che presuppongono -īm̐ẓ. Altra trattazione finale in 136; sul caso dei sī́dati, v. 73.

64. Un movimento correlativo è il passaggio da n a per effetto di una precedente r () o - quindi di un fonema “cerebrale” diverso da un’occlusiva. Così nṛṇā́m da nṛ́- “uomo” + finale -nām; uṣṇá- “caldo” e várṇa- “colore”, suffisso o finale -na-.

L’azione si svolge anche a distanza - questa è l’originalità dello sviluppo - ma a determinate condizioni. Ovvero, se i fonemi intermedi sono vocali o occlusive (comprese le nasali) di tipo gutturale o labiale, cioè fonemi “neutri”. Così bháramāṇa- da BHṚ.-, suffisso -māna-; róhaṇam “salita”, suffisso -ana-. Ma ráthānām G. pl. “carro”, rā́jānas N. pl. “re”, ráṇena (prima cerebrale, seconda n dentale), I. sg. “gioia”. C’è incertezza per il gruppo labiale + n, da un lato tṛpṇóti da TṚP- e ánavapṛgṇa- “senza rottura” (trattamento normale), dall’altro kṣepnú- “vivace” (X).

In °ṣkannám di SKAND-, la seconda n può aver interferito con l’alterazione della prima, anche se il trattamento normale è, in caso di + n (in contatto): assimilazione in ṇṇ. Così in niṣaṇṇa- di SAD-. In ogni caso n che si basa su un’occlusiva dentale resiste alla cerebralizzazione: vṛndá- “truppa”. Allo stesso modo, la n finale (101), come la s fînale (dopo una vocale “cerebralizzante”), vi resiste.

65. Questa è l’origine della grande maggioranza delle vediche. Il resto è costituito da parole isolate, senza una chiara provenienza, in parte volgari. Si noti la nasale dentale in suvenī́- “donna dalle belle trecce” (opposta a veṇī- post-vedico), o PAN- opposta a paṇ (páṇate / paṇāyáti) del Nigh. (attestato, ma nel senso di “barattare, negoziare”, da prapaṇá- AS.).

Cfr. anche BHAN- opposto a bhaṇ- post-vedico; amṇár MS. “inaspettatamente”, propr. “involontariamente” = amnár AS. Una n dentale si trova in úṣṭrānām “bufalo” e rāṣṭrā́nam “regno” (G. pl.) per evitare una sequenza cerebrale (ma rāṣṭrā́ṇi AS.). In piṇák, imperfetto di PIŚ-, ci si è preoccupati di notare un fonema che bilanciasse l’() del presente pinaṣṭi o l’ delle forme simili pṛṇák riṇak, e così via. Lo di śloṇá- AS. “paralizzato” (aśroṇá- paipp. ad I 31 3) deriva da quello della forma più antica śroṇá. Infine abbiamo per anticipazione in paṇiṣpadā (pani° vulg.) “che trema, che palpita” (SPAND-) paipp. ad V 30 16, caso inverso di pánīphaṇat- 50.

66. Scelta della nasale. - La scelta dipende in larga misura dalla consonante vicina. Così troviamo il passaggio da m a n (finale della radice) davanti a un’occlusiva dentata, gāntave di GAM-, e per estensione davanti a una v- (ganvahi), nonché per dissimilazione o analogia - davanti a una m- (áganma).

Nell’intensificazione delle radici si nasale finale, c’è esitazione tra la tendenza ad accogliere le due nasali a contatto (nánnamīti Aufrecht), quella a mantenere la forma primitiva (námnamāne M. Müller), quella a usare la soluzione sottostante, ispirato da saṃdhi (naṃnamīti M. Müller).

Tutte le nasali si riducono all’anusvāra (o anunāsika 12) prima di una spirante (compreso ( 130): così háṃsi hiṃste di HAN- o HIṂS- opposta a hánti e hinásti; máṃhate di MAṂH-. Molti mss estendono questa disposizione al caso di n o m prima dell’occlusiva 12, ma la maggior parte degli editori ripristina giustamente la nasale accomodata o originale, tipo ghnánti (non: ghnáṃti), tastambha (non: tastaṃbha). L’estensione di prima di y nell’intensivo yáṃyamīti di YAM- è un trattamento di saṃdhi.

  1. n passa a prima di una gutturale, presente (yuṅgdhi = *yu--g-dhi da YUJ-) o secondariamente cade secondo 70 (yuṅdhi); a ñ dopo una palatale (yajñá- “sacrificio”, suffisso -na-) o prima di una palatale (yuñje da YUJ-, infisso -n-); tuttavia, non dopo una ś: praśná- “domanda” ś è probabilmente meno chiaramente “palatale” di c o j. In śnyáptre TS. “angolo della bocca”, la grafia indica una pronuncia umida della n dopo la s palatale; analogamente (con ñ) yācñyá- AS. (i mss divergono) “domanda” poggia su yācñā́-.
  2. Una sistemazione di tipo particolare si verifica all’iniziale del suffisso secondario -vant- (secondariamente -vin- e analoghi) che cambia in -mant- dopo un fonema labiale.

67. Variazioni tra R e L. - Il fonema l, raro nei primi RS (e mai in una forma verbale), si diffonde con successo variabile dal Libro X in poi. AS. lo favorisce, contando sette volte più l di RS. Da qui alcune varianti, di solito con variazioni di significato o di uso, RABH-/ LABH- (labh- dal X) o MRUC- / MLUC-, purú°/ pulu° (pulu° I e X) “numerosi”.

La l compare preferibilmente vicino a un fonema labiale e il progresso può essere avvenuto per dissimilazione. Ma in origine si trattava di parole concrete (n. di piante, animali), spesso familiari, persino volgari; diverse sono legate al culto di Rudra (-Śiva). Così, di fronte a CAR-, abbiamo cal- in puṃścalī́- AS. - ū́- VS. “cortigiana”; kulmas Kh. 112 (ex corr.) variante con karmas; sulāmi o tilāmi in un passo osceno dell’YV (Aśvamedha). Per reazione, bahura° AB. II 20 14 come variante di RS. bahulá- “spesso, denso”. Per dissimilazione, álarti da Ṛ- dove si tratta di un intensivo, caso favorevole a -l- (cfr. jálgul- come variante di járgur-, calcalīti MS. da CAL- - oltre all’intensivo nominale calācalá-). Altro caso favorevole: interiezione 392.

  1. Il preverbo prá riguarda il movimento a partire da plā́yate MS. KS. (“andare via”); párā, da palāyiṣyámāṇa- e analoghi TS.
  2. Scambio n / l in vaniṣat AS. passando a val(i)ṣat Kh. 160.

È certamente un fatto dialettale che la reintroduzione di certe l (sia in posizioni in cui la l era autentica, sia anche in cui lo era la r) nella parlata rotacizzante che era quella dei mantra più antichi.

68. Scomparsa di consonanti. - La perdita di consonanti si verifica in condizioni molto variabili, e soprattutto in gruppi:

(a) Gli mss di AS. (confermati da APr.) attestano spesso, altri mss. più raramente, l’evizione di una k (g) tra nasale e dentale, tipo yuṅdhi 66: come vediamo, lo spostamento era posteriore all’assimilazione della nasale.

b) Isolatamente abbiamo una riduzione di gruppo consonantico in nadbhyás (X) da nápāt- “nipote”: possibile analogia da adbhyás, da áp- “acqua”, dove la d era dissimilatoria (cfr. la formula apā́ṃ nápāt);

c) Analogo, sempre per dissimilazione, in ditya(vā́h)- YV. “che è al secondo anno”, opposto a dvitī́ya- “secondo”; in śitipád- “dai piedi bianchi” e simili, opposto a śvityáñc- “splendente”. Altra formula di riduzione in tṛcá- “terzetto” per *triṛc(a)-, cfr. tṛtīya- “terzo” opposto a tri- “tre” [ti-sr- dissimilazione?];

d) Analogo, nel gruppo consonante + mn (dei sostantivi in -man-), tipo drāghmā́ (S. sg.) di drāghimán- “lunghezza”, per *drāghmnā. Su drāghmā si basa mahinā da mahimán- “grandezza”, dove però prevaleva la soluzione in n (dissimilazione), e quando il gruppo iniziale mn non era nemmeno appoggiato su una consonante. Possiamo anche provare a spiegare °karmá-, in fine di bahuvrīhi, come il prodotto di una riduzione per *karmn-a-;

e) Sul caso di bodhí = *bod(h)-dhi, v. 48.

69. f) Le varianti del mantra mostrano molto spesso una y caduta (o al contrario, indebitamente inserita) dopo una consonante, specialmente dopo una s (). Così in sākṣe AS. per *sakṣye, futuro di SAH- (da cui paipp. sakṣīye). In mekṣā́mi AS. di MIH-, yokṣe AS. di YUJ-; analogamente vṛścáte per * vṛścyáte AS. VI 136 3; viceversa, jyeṣyán per je° ibid. di JI-. Si tratta di fatti di pronuncia o di ortografia approssimativa, peculiari dei mantra inferiori. Anche quando le doppie sono giustificabili, come nei derivati del tipo suvī́ra- / suvī́rya- “molto virile; grande virilità”, o in márta- / mártya- “mortale”, la base del movimento è in parte fonetica.

  1. In yācñyá- (y posticcio), v. 66; madhuścyútaḥ VSK. = °scútaḥ VSM. XXI 42 “grondante di miele, che straripa di dolcezza” potrebbe significare la combinazione di ŚCUT- e CYU-. Al contrario, abbiamo hiraṇyáyā per -áyyā VIII 1 32 “desiderio d’oro”, per evitare una sequenza -yayy-.
  2. Le radici tradizionalmente impostate in -iv- (in realtà, -īv-), di tipo SIV-, sono inclini a perdere la y dopo la consonante quando devono assumere l’aspetto -- 76: così sū́tra- AS. “filo” a syūtá “cucito”. Sulla forma -ū- così ottenuta si rifà eccezionalmente un grado pieno in -avi-: daviṣāṇi (X) da DĪV-.

Diversamente, sotto la spinta del sistema morfologico, si ha l’inserimento di una y in alcune forme verbali 308 n. 5 e in derivati primari 190.

g) In iṣ, eventualmente per niṣ. v. 104.

70. h) Ma i fatti importanti di perdita (o di aggiunta) riguardano la consonante s, la cui debolezza in certe posizioni è manifesta.

a’) In primo luogo, alcune radici presentano nell’iniziale, a volte la sola occlusiva, a volte il gruppo s + occlusiva: così TAN- (“tuono”) / STAN- (forse in *tastánat VIII 21 18); oppure il nome radice tṝ́- / stṝ́- “stella” (tā́ras N. pl. hapax del Vāl.). Isolato, sphena- MB. II 6 18 “schiuma” / phéna-; stegá- RS. / tegá- VS. (significato?). Nel raddoppiamento, i verbi in sp- st-, ecc. ripetono la sola occlusiva, come se la sibilante fosse inorganica. In puruścandrá- “molto luminoso” opposto a candrá-, il metro non conferma la grafia di śc, che rinuncia ad allungare la u finale del membro anteriore (pdp. puru-c°). Nelle radici SKAND- STAMBH- STHĀ-, la s iniziale si perde dopo il preverbo úd: in altre parole, la sequenza tsk o tst(h) si riduce (dopo una parola debole) a tk o tt(h), come in útthita- “alzato o che si alza” (l’unica forma per STHĀ- nel RS.); inoltre, in (cāskámbha) cit kámbhanena (pdp. sk°) X 111 5 “da un soggiorno”. Infine, in KṚ-, una s viene occasionalmente aggiunta tra i preverbi sám o pári (con sfumature di significato instabili) e le forme radicali che iniziano per k-; - così come nel gruppo níḥ … askṛta (malgrado l’aumento) X 127 3 (pdp. akṛta). Il movimento verso sk- aumenta un po’ dopo RS. (Abbiamo anche skṛṇve senza preverbo, in stobha). Tutte queste forme si trovano all’incrocio di composti o complessi verbali.

Se si tratta di complessi verbali, deve trattarsi di un tipo di saṃdhi. Si può ipotizzare un’origine analogica quando vediamo una giustapposizione come pariṣkṛván ániṣkṛtam IX 39 2. Il raddoppio è stato sfruttato per metrica.

71. b’) Una s () tra occlusive - praticamente, soprattutto dopo una k e sempre prima di una t - cade: così nell’aoristo sigmatico di tipo ábhakta di BHAJ-; è vero che in molti casi l’antica presenza di s non è morfologicamente assicurata, cfr. 344.

  1. Dopo la nasale, in achānta (2° aoristo sigmatico pl.) di CHAND-. Ma nel gruppo unitario kṣ prima di una t-, è l’occlusiva iniziale a svanire o meglio kṣ passa a una prima che la sibilante sia in grado di cadere: cáṣṭe 57, ma cfr. 317 n.1 su questo tema.
  2. Eliminazione di una s prima di due occlusive, in vavṛktam e negli analoghi di VṚŚC- (cfr. °vraská- “che modella”). Anche tra occlusive e nasali, nelle forme deboli jmás e gmás, accanto a kṣmás 53: è vero che il fonema complesso kṣ è soggetto, prima della consonante, a trattamenti instabili.
  3. Sul caso di ās(s)va e analoghi, v. 18.

72. i) Condizioni analoghe devono essere ammesse nel caso di un’antica sibilante sonora, dentata (z) o cerebrale (ẓ), vale a dire:

(a’) La sibilante sonora (dentale) cadeva prima della disinenza dh- in śādhi di ŚĀS-; anche prima di -dhvam in ādhvam di ĀS- (AS. e TS. mss. āddhvam), ma l’esempio non è conclusivo a causa di 17.

Nella stessa posizione, il vecchio gruppo (finale di radicale) *az è trattato in modo molto diverso, o originariamente (caso di edhí 27) o da un più antico *ad (caso di dhehí dhehí, ibid.). Inoltre, il tipo dehí si accompagna a un gruppo di forme verbali in de- 340; è altamente improbabile che si basi su un aoristo sigmatico (*daz-dhi).

  1. Il trttamento d > z postulato per dehi ha l’apparente controparte z > d in svátavadbhyas e uṣádbhis 243 e mādbhis 258: ma innanzitutto si tratta di situazioni assimilabili a una terminazione di parola, e in secondo luogo queste forme sono state sicuramente realizzate sulla base delle numerose terminazioni in -adbh(is, yas) e in particolare in virtù dello scambio -vant- / -(v)as- e simili; cfr. 137 c e il N. sg. 137 c e il N. sg. (RS.) svátavān.
  2. L’evoluzione (anche in fine di parola) (a)z* > (a) in anaḍváh- “animale da tiro” si spiega partendo dalla forma debole *anaduṭ- (con d come sopra, secondo 55) che si nascondeva in anaḍút(su) L. pl. (hapax), per unirsi alle molte altre terminazioni in -(u)tsu. Lo stesso tema ánas- porta a ánar° in ánarviś- “auriga, seduto sul carro” (variazione d/r o piuttosto influenza dn del tipo áhar / aho°).
  3. C’è perdita del radicale *z tra le occlusive come quella di s nella stessa posizione (71) in gdha e forme simili 20, babdhā́m ibid, mediatamente almeno in jagdhá- 57. Perdita di un’affissale *z in etrabdha 71, nel caso in cui la forma sia ben presente per *ambh-z-ta di RABH-; il trattamento 49 si applicherebbe quindi successivamente alla sibilante caduta.

73. b’) La sibilante sonora cerebrale (da s) è caduta cerebralizzando la seguente dentale (dh-) in astoḍhvam 61.; stesso trattamento nella stessa posizione per una sibilante da un originale , in ṣoḍhā́ 57 146 (o secondo 27, (ḍh secondo 61).

Stesso trattamento anche quando la suddetta sibilante risulta (secondo 61) da una vecchia h modificata prima di t-, tipo gūḍhá- (56) o vódhave (o secondo 27, (ḍh 56); infine in tṛṇédhu (e secondo 27).

  1. Il trattamento viprúḍbhis 55 è un trattamento di fine parola (99); aviḍḍhi (imperativo 2° sg. attivo dell’aoristo in -iṣ-) di AV- indica un trattamento di *z in che sembra assicurato anche se unico ed è diverso dal trattamento astoḍhvam o ṣoḍhā́: da un lato la vocale precedente era breve, dall’altro si trattava di una s affissale. Se astoḍhvam risponde a ādhvam 72, aviḍḍhi deve rispondere a edhí dehí ibid. e suggerire all’inizio di queste forme *addhi *daddhi. In sī́dati di SAD-, la forma prevista *sīḍati (a partire da *siẓd-ati 72 n. 3) manca, o per pressione del sistema o perché era una s originariamente dentale.
  2. Sull’eliminazione senza traccia di *ẓ in barbṛhi, v. 55; allo stesso modo (con l’estensione vocalica segnalata graficamente) in mimīhi, se si dovesse credere con il Nigh. che questa forma abbia avuto origine da MIH-, come variante di mimiḍḍhi 55.

74. Trattamento ts per ss. - Un trattamento isolato (forse semplicemente dissimilatorio) è quello che subisce una s finale di radice di fronte a una s di affisso verbale, ossia la trasformazione in t. Il fatto è attestato fin da AS, in jíghatsati di GHAS-, vyàvāt AS. 3° aoristo sg. di VAS- 1., per *avās-t (ma è possibile l’intervento di 103 n.); vani sono stati i tentativi di eliminarlo.

  1. Potrebbe essere che già in RS. (I X) bībhatsú- costituisca un primo esempio se, almeno in via di incrocio, il termine derivi da BHAS- con il significato primario di “che ha fame” (?).
  2. ssttt in aghattām Kh. 144, ma st, come previsto, in ághastām MS. IV 13 9 in GHAS-.

D’altra parte, il radicale s si affievolisce prima del disinenziale in asi di AS-1 (riduzione preistorica). Meno autenticamente, e forse attraverso il processo di degeminazione 18, in apásu da apás- “attivo” áṃhasu (AS mss) da áṃhas- “angoscia”, puṃsú AS. (dopo ; forse da pumbhís e analoghi, casualmente non attestati nei mantra); anche in joṣi e śeṣi, ma cfr. 59 su queste due forme. Āsva e analoghi è direttamente spiegabile con 18.

75. Metatesi. - Una metatesi (viparīta) produce un gruppo radicale -ra- -- in sostituzione di -ar- -ār- prima di una consonante + e, fluttuando, prima di kṣ: dráṣṭum da DṚṢ-, mrakṣa° “distruzione” presumibilmente da MṚJ-, srakṣat da SṚJ-; ma non dappertutto, cf. mārṣṭu AS. Nelle finali di parola, la metatesi si verifica nell’aoristo radicale del 2° sg. srās AS. da *srāk+s, da SṚJ - (su cui si realizza il 3° sg; ásrāk). La soluzione -rā̆-, normale secondo 26 in PṚCH- (PṚŚ-), potrebbe essersi estesa da práṣṭum e áprāṭ a dráṣṭum e ásrāk e simili. Ma l’origine primaria deve essere fonetica.

Che -ra- sostituita da -ar- (con o senza metatesi) comporti prima di una singola consonante una tendenza all’allungamento della vocale lo si vede da BHRĀJ- opposto a *bharj- che spiega bhárgas. Cfr. anche prā́ś- AS. “dibattito” e indirettamente mārṣṭu menzionato in precedenza < mrāṣtu.

76. C’è un’inversione del supporto vocalico della sillaba nel gruppo di radici -īv- 69 n. 2: così dyūtá- AS. da DĪV-. Allo stesso modo, da dyú- (dív-) “cielo; giorno” si formano dívam/ dyúbhis e analoghi secondo 39 (in composizione, 165).

  1. Più inaspettato (essendo dopo vocale) il caso di devāvī́ “che soddisfa gli dèi”, con Ac. °vyàm VSM. ma °yúvam VSK. (da RS. devayú-?); ibid. ancora ukthavyàm / yúvam “che soddisfa l’inno”. Anche in RUDH- usato come var. di VṚDH- 58; in parihvṛ́t- “danno” (conforme a hvárate) opposto a parihrút- “che danneggia” (conforme a hruṇāti); infine (var. del precedente) °dhvṛ́t- / dhrút- “che corrompe”, mentre le forme verbali usano il tema dhūr(v)- cfr. 325. La tendenza generale di tutti questi fatti è: la prima semivocale ha la forma consonantica, la seconda quella vocalica.
  2. In vṛṇóti / ūrṇoti (ū secondo 37), questa seconda forma è stata probabilmente contaminata da ṛṇóti, forse da urú-. Un’interversione complessa è quella di AS. arṇavat V 2 8 = avṛṇot RS.
  3. Variazione la / al in gláhā “tiro (di dadi)” (= *grahā) / gálhā AS. VI 22 3 (cfr. mss. e APr.); lh / hl in bálhika- AS. n. di persone/ báhlika- (mss. e paipp.).

77. Aplologia. - Le variazioni tra i mantra e l’interpretazione dei testi stessi danno luogo a numerosi casi di aplologia (aplografia). Così kánikrat (hapax IX) per kánikradat de KRAND-, pávīravān (X) forse per *pavīrava-vān “armato di ferro”, śévāra- (sévṛdha-? ) per śeva-vāra- “tesoro”, irádhyai (I) per *iradhadhyai “essere conquistato”, viśvasuvídas (I) per *viśvavasu° “che porta ogni bene, salute di tutti”; forse vanta 325, cākantu (I) per *cākanantu di KAN-, śū́raṇa (I) per *sūraraṇa- “avere gioia (nel combattere) gli eroi”. Da una parola all’altra, apāvṛk támaḥ AS. XIII 2 9 per *apāvṛkta t° e v. altri casi sotto 463, così come vásyaṣṭi- sotto 140, -tavaí sotto 91. Come si può notare, vi è una varietà di formule, la maggior parte delle quali sono termini rari. Inoltre, sono state ipotizzate delle aplologie in cui sembra mancare una parola identica a una parola contigua, messa in un’altra forma casuale, l. cit.

  1. Diverse finali di I. sg. in - - si spiegano con l’aplologia 268; ibid. una D. in -ai; cfr. anche 275 e 284. Il verbo non sembra prevedere casi simili.
  2. Esiste (al contrario) una dittologia in girvavā́haḥ SS. I 68 = girvāhaḥ RS. “a cui viene portato il canto”; forse in naná- nam (X) “diversamente”, mamat 280.

78. Dissimilazione. -Oltre ai casi già notati (cfr. in particolare 50 55 n. 2 56 n. 66 67 68 bcd 72 n. 2 74), il più notevole (se si potesse considerare sicuro) sarebbe quello di kṣumánt- “ricco di bestiame” purukṣú- “id.” (161) da confrontare con paṣú- “bestiame” (20) con dissimilazione di p prima di m o dopo p.

Si possono citare anche yávamat- “ricco di cereali” e káṇvamant- “accompagnato dai Kaṇva” in relazione ai numerosi derivati in -avant-; páliknī- 233. Altri fatti 99 100 121 n. e in particolarmente nella flessione nominale.

79. Assimilazione. - A parte il caso di -nn- da -dn- 46 n. 2, normalmente non c’è assimilazione all’interno della parola per le occlusive appartenenti a classi diverse, cfr. 17. Alcini mantra volgarizzanti danno ch (cfr. 57) per ts e simili, così abharchata del Kh. ms kaśmīrien = abhartsata; uchántu AS. III 12 4, prob. per ukṣántu da UKṢ-, che paipp. pone; ṛchára- AS. opposto a ṛtsara- paipp. “paturon”.

  1. Altri casi di assimilazioni prakritiche, soprattutto in -tt-: vívittyai TB. / víviktyai VS. XXX 13 “discriminazione”; nuttā KS. VII 12 per nyuptā Ap. “sparpagliato”; ma prasaktáḥ AS. e °saptáḥ TB. sono ipersanscritismi per prasattáḥ V 60 l “seduto”; jj in ujjeṣī́ VS. XVII 85 “vittorioso” è stato rifatto in modo simile in ūrjiṣī Āp. e altrove. Esistono alcuni casi di geminazione di una consonante prima di r o y, per assorbimento di queste, tipo TB. khillé = khilyé RS. Semi-assimilazione di dy in jy in jyut- AS. Variante MS. di DYUT- (e cfr. jyótis- “luce, luminosità”); al contrario, jyā́m autentico AS. V 13 6 = dyām Hir.
  2. Sistemazione delle nasali 66 (ganīganti 354) - delle sibilanti almeno di s + c in śc in vṛṣcáti / °vraská- 7i; in sáścati 20.

80. Sillaba. - Il taglio della sillaba (akṣara) è posto, secondo i teorici, dopo la vocale; solo la consonante di pausa apparterrebbe alla sillaba precedente. Tuttavia, nel caso di un gruppo di consonanti, c’è un’esitazione. RPr. taglia (quando la seconda consonante è r) pit/ o pi/tré; quando la seconda è y, á/dhya(kṣa-); ma in generale la sillaba termina con la prima consonante. Se ci sono tre consonanti e l’ultima è una sibilante o una semivocale, il taglio è prima della seconda (TPr.).

Esistono regole particolari per le false geminate 17: si tende a considerare chiusa la sillaba anteriore, cioè a tagliare put/trám, ma, se la geminata è al secondo posto, ár/ttha- o ártth/a- RPr. L’anusvāra, il visarjanīya, la svarabhakti secondo RPr. appartengono alla sillaba anteriore; c’è incertezza in yama 14.

81. La teoria distingue le sillabe pesanti (nel corso di due morae): quelle in cui la vocale è lunga o nasalizzata o seguita da due consonanti. E le sillabe leggere (una sola), con una vocale breve seguita da una sola consonante. Alcuni insegnano che una sillaba con consonante + vocale breve o lunga è meno leggera o più pesante di una sillaba composta da una sola vocale.

Il metro conferma alcuni casi di sineresi per due sillabe consecutive, la prima delle quali (che è anche la prima della parola) ha una vocale u (i): tuvidyumnásya VI 18 12 “dal potente splendore”, puraṃdarám VIII 61 8 “distruttore di fortezze”, diví VIII 3 21 IX 97 26 “cielo”, duhitā́ IX 113 “figlia”, púruṣa- passim “uomo” (da leggere *pūrṣa- cfr. 43), eventualmente iyám 43), forse iyám 34 n. Ma diversi casi si prestano ad altre spiegazioni.


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