sanscrito vedico

fonetica



VII. - IL SAṂDHI DELLE CONSONANTI

124. Occlusive. - Le occlusive da considerare sono quelle acquisite alla pausa 98 99, ovvero: k e (che possono rappresentare c, j, h e ), t e p. Vi è una sopravvivenza isolata di ś alla fine di membro anteriore 99 n. 2. L’occlusiva diventa sonora davanti a una sonora qualsiasi, vocale o consonante, quindi vā́g devī́ come vā́g yajñéna o vā́g asi, derivando da vā́k = vā́c- “voce”. A causa dell’implosione tipica della finale, l’adattamento è quindi più marcato che in posizione interna. Se l’iniziale è una nasale, la finale può assumere una forma nasale, come in vā́ṅ ma āsán AS. XIX 60 1, da vā́k; ma la RS. ha solo rari esempi di questa evoluzione, come trikakúm ni° I121 4 = trikakúp. Invece, nella giuntura del composto, la nasale è costante, come in cikitvín- manas- “con mente attenta”, cf. cikitvít 195.

Estensione della sonora (e eventualmente della nasale) davanti a un suffisso secondario in v- o (per imitazione) in m- 204. Davanti a un suffisso primario,
a) nel tipo dn>nn 46;
b) isolatamente nel gruppo vagnú- e vagvanú- “rumore” vagvaná- “rumoroso” da VAC-, ispirato dai derivati secondari.

125. L’accomodamento, nel caso di una -t finale, va sensibilmente più lontano.
а) Se l’iniziale è una l-, la -t si assimila, áṅgāl lómnaḥ, X 163 6 = áṅgat;
b) stessa assimilazione se l’iniziale è una palatale c- j- o ś-. Nel caso di ś-, l’assimilazione avviene dopo che ś- è diventato ch-, ovvero si è avvicinato alla qualità occlusiva della finale, integrando un’aspirazione che attesta la forza aspiratoria propria delle sibilanti 10. Si ha così tác citrám o tác chréṣṭham, partendo rispettivamente da tát citrám o da tát śréṣṭham (molti manoscritti, in particolare dell’AS., scrivono táchréṣṭham conformemente a 57).

  1. Secondo Śākalya il Vecchio (RPr. IV 4), il risultato ch- si presenta dopo ogni occlusiva; infatti, lo si trova sporadicamente, almeno dopo una -ṭ, vípaṭ chutudrī́ III 33 1 = v° śutudrī́. Al contrario, secondo Śākalya (il Giovane) IV 43, ś- iniziale si mantiene.
  2. Nella MS., il contatto -t ś- dà -ñ ś- per analogia di 131: úñśiṣṭa- = út- śiṣṭa-.

126. Infine una h- iniziale cede il posto, in generale, all’occlusiva aspirata dell’ordine dell’occlusiva finale, così yád dha = yát ha, o ancora vā́g ghutáḥ VS. XXXIX 5 = vā́k hutáḥ. Questo è (con il caso citato sotto 125) uno dei rari casi in cui il saṃdhi delle consonanti esercita un’azione alterante sull’iniziale.

Modificazioni dissimilatorie del luogo dell’occlusiva finale in funzione del luogo dell’iniziale 100. Inversamente, samyák te si assimila in samyát te (passaggio oscuro) TS. 12 7a, cf. 79.

127. Nasale - n. - Una -n finale (così come - che è raro, e teoricamente -), seguendo una vocale breve, si presenta in forma geminata davanti a vocale iniziale, ovvero -ann -inn (sole finali in questione). Ma il metro conferma in principio questa geminazione solo dove ha una giustificazione etimologica, ovvero dove c’era una dentale o sibilante (successivamente caduta): così alla 3° pl. in -an, propriamente -ant (cf. la 3a primaria -anti), al N. sg. animato in -an, propriamente -ants: úd āyann uṣā́saḥ III 31 4 “le albe sono sorte” è confermato dal metro, ma vajrinn ójasā I 80 11 “o (dio) armato di fulmine, con forza…” non lo è. Al V. sg. maghavann e analoghi, da maghávan(t)- “generoso”, la quantità della a prefinale è forse “media”. In composizione, la geminazione avviene solo in āsánniṣu- dove āsan(n) è un L. sg. senza desinenza, “che ha frecce in bocca”.

128. Una -n (dopo una vocale lunga) sviluppa prima (o più esattamente fa rivivere) davanti a una vocale iniziale una sibilante (dentale) davanti alla quale, secondo 66, assume l’aspetto dell’anusvāra- anunāsika. In seguito, la sibilante è trattata secondo 135, cioè cade semplicemente dopo una -ā (intermediari teorici y TPr. VPr., APr.), diventa r dopo ī ū ṝ, r funziona qui come altrove come sonora di s. Si ha, da un lato, sárgāṃ iva VIII 35 2Q = sárgān, dall’altro nṝ́ṃr abhí V 54 = nṝ́n (esempio unico per -ṛn).

La pratica dei testi (e soprattutto quella dei manoscritti) e l’insegnamento dei Pr. non sono privi di incertezze. Così -ān si mantiene, sebbene eccezionalmente, nella RS. (putrā́n ā́ X 85 45; notare -ān mantenuto al congiuntivo 3° pl., che era primitivamente -ānt, gáchān ít VIII 79 5), più frequentemente in seguito; la soluzione -ṃr si fa rara; infine -āṃ si accorcia in -aṃ in molti manoscritti, in particolare in MS. JS. Kap. (JS. conosce anche -uṃr al posto di -ūṃr). Vi è inoltre un’estensione del trattamento, come conferma RPr., in presenza di una semivocale o di un h-, così dásyūṃr yónau 1 63 4 = dásyūn (SS. attesta questa estensione solo davanti a h-).

In questo campo, la confusione tra e è grande; i manoscritti di YV. preferiscono .

Si incontrano alcuni casi, probabilmente inautentici, dove -n (nella finale -ān) cade davanti a vocale con contrazione: ciò si presenta anche in manoscritti della RS.

129. Davanti a un’occlusiva palatale, una -n finale si accomoda al luogo di articolazione dell’iniziale proprio come una n interno 66. Così vájrin citrā́bhiḥ VIII 13 33 = vájrin, conformemente ai Pr. Ci sono, è vero, numerose eccezioni per la posizione davanti a c -(ch-), la quale comporta anche (soprattutto in AS. VS. TS.) l’inserimento della sibilante (palatale), con la stessa evoluzione di 128. Così anuyājā́ṃś ca X 51 8 = anuyājā́n. I manoscritti presentano anche l’anusvāra semplice, o la nasale dentale, o la palatale: quelli di AS. danno -ñś c-. Nella RS. si trovano fianco a fianco asmā́n ca tā́ṃś ca II 1 16: la sibilante appare di solito davanti alle particelle ca e cid (almeno quando la finale è -ān -īn), cioè là dove c’è un collegamento stretto tra le due parole interessate. Il contatto -n j- porta, in molti casi, a -m j-, talvolta anche a -ñ j- o addirittura a -n j- (senza cambiamento).

130. Vi è una varietà analoga per il trattamento di -n davanti a t-. Qui la sibilante, se inserita, è naturalmente di tipo dentale, tásmiṃs tát = tásmin. Come precedentemente (nella RS. almeno), l’inserzione appare soprattutto per una finale -ān davanti a enclitici o altre parole brevi che formano una stretta connessione (-aṃs t- eccezionale in RS.).

Infine, davanti a un p-, la sibilante inserita assume l’aspetto del visarjanīya secondo 143, così nṝ́ṃḥ pāhi VIII 84 3 = nṝ́n p° (la MS. ha nṝ́ṃṣ, con la sibilante cerebrale, che era possibile anche secondo 143). Queste aggiunte di sibilante hanno iniziato dai casi in cui c’era una giustificazione etimologica e si sono estese poi gradualmente. Mancano in alcuni testi, come nel paipp.

131. Davanti a una sibilante dentale, una -n finale (eventualmente una -) può sviluppare una t (una k se si tratta di -) come fonema di transizione, così tā́n o tā́nt davanti a sám, o pratyáṅ o pratyáṅk davanti a . Anche qui, l’elemento sviluppato era organico in alcuni usi e si è esteso per analogia. L’uso, parzialmente descritto nei Pr. (“secondo alcuni”, dice il RPr.), è incerto nei manoscritti; più frequente, per esempio, nella SS. che nella RS.

Davanti a una sibilante palatale, il risultato è -ñ per accomodamento secondo 66, ma si trova più spesso l’alterazione dell’iniziale in ch-, come in vajriñ chnathihi I 63 5, più spesso che v° śnathihi; ch- è analogico di 125, pur rappresentando forse autenticamente, in alcuni casi, un gruppo antico -n t ś- con t di inserzione (così che si dovrebbe ripristinare come grafia corretta -ñś- per una antica -n, ma -ñch- per una antica -nt).

  1. I manoscritti danno anche, per negligenza, -ṃ ś- o (in AS. SS.) -ṃ ch-. Śākalya (RPr. IV 13) rifiuta -ñ ch-.
  2. Il contatto -n l- dà -l ̐ l- secondo APr. (i manoscritti di AS. variano). Sul trattamento davanti alle semi-vocali in generale, v. 128.

132. Nasale -m. - Il trattamento di -m finale è più lineare. Invariato davanti a vocale in generale, il nasale labiale si adatta (come in posizione interna 66) davanti a una occlusiva e a un nasale, adottando il luogo di articolazione corrispondente: così táṅ ghnanti per tám; yán nipā́si IV 11 6 per yám, dove il pdp. ristabilisce erroneamente yát. Tuttavia, nella maggior parte dei manoscritti e dei testi stampati, questo nasale assimilato è rappresentato dall’anusvāra, ghnántaṃ mā́ śápantam práti 1 41 8 = ghnántam e śápantam.

Davanti a una semivocale e a una spirante, che non hanno una corrispondente nasale, è necessariamente inserito l’anusvāra (-anunāsika), sáṃ yudhí = sám. In teoria, tuttavia, davanti a y- l- v-, il nasale è assimilato in y ̐ l ̐ v ̐ (= semivocale nasalizzata).

Si tratta del paripanna-saṃdhi, dal quale è esclusa la parola isolata samrā́j- (vecchio composto) “sovrano”. La soluzione con prevale in MS. KS., quella con ṃ in Kap. e cf. 12.

  1. Nella RS. vi è traccia della caduta di -m finale davanti a vocale con contrazione, come in vā́jotá VI 48 4 = vā́jam utá. Il fatto, attestato soprattutto davanti a parole deboli (come davanti a iva 123), è a volte notato nella redazione, a volte da ristabilire. Asmā́kāsat I 173 10 e analoghi derivano, come indica il pdp., da una doppietta senza -m finale di asmākam? Improbabile.
  2. Táṃ naḥ AS. XII 3 12 (interpretato variamente dai manoscritti del pdp.) risale a tám secondo uno dei due APr., a tát secondo l’altro, cf. tán naḥ paipp.

133. Trattamento di -r. - Per ottenere il saṃdhi di una finale -s e -r (-r trattato come sonoro di -s, cf. 10), bisogna in una certa misura considerare la forma autentica della finale, non il risultato - della pausa 102. Contrariamente alle altre finali, la lingua ha qui avuto la preoccupazione di risalire alla finale originale e di mantenere la separazione, almeno parziale, tra i due fonemi. Così un’antica -r davanti a sonora si mantiene (riphita-saṃdhi), es. prātár agniḥ V 18 1; tranne che si assorbe se l’iniziale stessa è un r- (nihata-saṃdhi), assorbimento che comporta l’allungamento “compensatorio” di una eventuale vocale breve precedente la -r finale, es. púnā rūpā́ni AS. I 24 4, partendo dall’avverbio púnar.

Sotto l’influenza del saṃdhi (infinitamente più frequente) -as > -o 137, la finale -ar porta a -o in ū́dhaḥsu 277, in áhobhis, ecc., dalla RS. recente (così come áho° davanti a un r- iniziale, áha(s) davanti a un e- iniziale VI 48 7), e persino nell’avverbio avár “in basso”, il quale è trattato ovunque come *avás (secondo parás), tranne in un passaggio del Libro I dove compare avár maháḥ. La 1° sg. aoristo (hapax X) vám suppone una doppietta *vas della 2a 3a sg. vár 339. Allo stesso modo la finale (rara) -ār è trattata come una finale -ā(s) in akṣā índuḥ IX 98 3 (pdp. akṣār). — Inversamente ánar° 72 e analoghi 137.

134. -r finale davanti a una sorda si indebolisce in - (è il vikrama-saṃdhi), così púnaḥ pátnīm X 85 39: púnar. È quindi semplicemente mantenuto il trattamento della pausa. Tuttavia, ci sono due altre tendenze contrarie:
а) il mantenimento di -r che si ha in āvar támah, I 92 4 dove si tratta di un -r divenuto secondariamente finale, essendo derivato da -rt (aoristo di VṚ- 1); allo stesso modo in alcuni composti antichi, vārkā́ryā- (I) nome proprio, dhūrsád- “situato al timone” (con ū secondo 37), svàrpati- “signore del cielo” (quindi -r di nomi-radice; i mantra successivi normalizzano, così SS. legge in variante svàḥpati-);
b) l’accomodamento di -r (come se fosse -s finale) in sibilante palatale davanti a c-, in sibilante dentale davanti a t-; così pū́ś ca I 189 2 = pū́r, gī́s tribarhíṣi I 181 8 = gī́r; è il vyāpanna-saṃdhi. L’assimilazione di -r a -s comporta la cerebralizzazione eventuale secondo 143, cátuṣpad- “quadrupede”, da catúr-.

Il mantenimento di -r davanti a c- avviene solo in composizione, e in sole due forme dove il membro anteriore è svàr°. Ma è possibile che -r debba essere ripristinato in frase libera, almeno davanti a parole deboli, in modo che si debba leggere, per esempio, *sasvar cit per sasváś cit VII 59 7.

135. -s davanti a sonora. - Davanti a una sonora, una -s finale (dopo una vocale diversa da ā́) è sostituito da -r (riphita-saṃdhi), come in agnír hótā 115 = agnís h°. Questa -r cade (niyata), come quella del 134, se l’iniziale stessa è una r-, e una eventuale breve penultima si allunga, così agnī́ rákṣāṃsi VII 15 10 = agnís r°.

-r finale è in sostanza il sostituto della sibilante cerebrale sonora (*ẓ) attesa nei gruppi -is -us -es, ecc. (davanti a sonora, cf. 73). È un effetto della tendenza “rotacizzante” del Veda. La sibilante sonora ha prevalso (prima di sparire sotto l’effetto del 73) in alcuni composti il cui membro anteriore è la particella dus, il membro posteriore inizia con una dentale sonora (compresa la nasale). Si tratta di dūḍábha- “difficile da ingannare” (= *duẓ-dábha), dūṇàśā́- “difficile da distruggere” (unico caso nella lingua di derivante dal gruppo *zn); ancora dūḍā́ś- “empio” nell’AS. (sul passaggio da d a , v. 73). Sono sopravvivenze.

136. Il trattamento in -r avviene per estensione davanti alla desinenza nominale in bh-, invece del atteso dal 73: yájurbhis da yájus- “formula rituale”. Tuttavia, si ha viprúḍbhis, da un tema radicale in - (cioè dove non è secondariamente derivato da s), secondo il 99.

  1. Il trattamento di bhū́my ā́ IX 61 10, se, come sostiene il pdp., la forma originale era bhūmir, sarebbe insolito. Ma ci sono altre interpretazioni: è un probabile caso di saṃdhi oltre una -r o -s finale, cioè di “doppio saṃdhi”, come ne esistono autentici nei mantra tardivi, e come se ne sono presunti qua e là fin dalla RS.: questi tuttavia sono tutti dubbi tranne là dove la seconda parola in contatto è la particella iva.
  2. Nei casi molto rari, dove una -s finale è stata preceduta da una consonante, cade davanti a consonante sonora: così (in composizione) in mandhātṝ́- 103 e (davanti a una desinenza in bh-) in púmbhis I. pl. di púṃs- “maschio”, ammettendo che la forma sia esistita all’epoca dei mantra.

137. -as davanti a sonora. - Di fondamentale importanza è il saṃdhi di -as finale (davanti a sonora). Invece di evolversi in -az, poi ar, dà una -o (trattamento velare); è il praśrita-saṃdhi. Si potrebbe pensare che si tratti dello stesso trattamento o che si osserva a livello di traccia all’interno della parola, se questo o non fosse sospetto di essere secondario 27.

Si hanno così náro VII 103 9 = náras, jātavedo ávāṭ X 1512 = °vedas. Allo stesso modo in composizione, tapojā́- “nato per l’ascesi”; e davanti a bh-, páyobhis I. pl. di páyas- “latte”. È una delle originalità del fonismo vedico.

Sia per sopravvivenza, sia per rifacimento analogico, sono attestati isolatamente altri trattamenti:
a) un trattamento in -e (conforme a 27 a), probabile nella formula sū́re duhitā́ I 34 5 “la figlia del sole” (accanto a sū́ro d° VII 69 4); tuttavia non è escluso che si tratti di una finale di D. (eccezionale in realtà nel tema svàr-), cf. sūnúḥ śrávase;
b) un trattamento in -ā (davanti a r- iniziale, secondo 133) nella formula pracetā rā́jan I 24 14 “o re avveduto” (le due parole sono separate l’una dall’altra da una fine di pāda); il pdp. dà pracetaḥ e il parallelo di TS. è praceto: una cattiva interpretazione potrebbe aver dato origine alla forma.

Stesso saṃdhi possibile in vibhárā ródasī V 31 6, se la prima parola è da leggere correttamente come vibháras. c) Si è supposto un trattamento -ad (cf. 72 n. 1) per un -as alla fine di un membro finale in (dvi)bárhajman- “che possiede doppia forza”, che sarebbe per °barhaj-jman-; meglio ammettere un tema compositivo ridotto *barha-. Su jāgṛvádbhis e le rare finali affini in -vát, v. 246.

138. d) Un trattamento in -ar, analogo alle finali autentiche in -r, è rilevato in ávar astu SS. = ávo ’stu RS. X 185 1 (da ávas- “aiuto”; confusione con l’avverbio avár 133); in uṣarbúdh(a)- “che si sveglia al mattino”, per influenza di áhar- “giorno”: da notare tuttavia che un tema autentico in -r 63 253 è attestato accanto a uṣás- “alba”. Infine in ánar° 72.

Negli avverbi “mistici” del tipo jinvár TS., c’è una falsa divisione e l’influenza della parola svár “cielo” che comanda visibilmente l’intera lista.

139. Tra le finali in -as, una è di un tipo particolare, il N. m. sg. del pronome - (etá-): sáḥ è la forma di pausa (peraltro raramente attestata), è la forma generale davanti a consonante, tranne in due passaggi della RS. dove si è introdotta la forma sás, che può essere analogica. La situazione è più complessa davanti a vocale: si trova sá in iato (quindi, implicando sás), ma spesso anche sá- contratto, come in saúṣadhīḥ VIII 43 9, da sā́- + óṣadhīḥ. Davanti a una a- iniziale, similmente, si ha talvolta (140), dove o conta come breve, talvolta (e meno spesso) sā́-, cioè la contrazione, confermata dalla metrica. Sembra che la forma antica fosse (senza desinenza), e che l’introduzione della s sia secondaria, al massimo favorita dall’esistenza di una doppietta sigmatica preistorica.

La posizione in iato prevale dopo la RS., e l’APr. per esempio non riconosce più contrazione, il TPr. ne segnala solo un caso.

140. Davanti a una vocale iniziale, la -o finale 137 segue la stessa evoluzione di una -o originale 119-120, cioè si mantiene davanti a una a iniziale e passa a -a davanti a un’altra vocale. Così, da un lato, váco (a)suryā̀ VII 96 1 = vácas, dall’altro turá iyām VII 86 4 (leggere turéyām) = turás. Stesso trattamento alla fine del membro anteriore di un composto, itáūti- 186, áyoagra- “a punta di ferro”, dove però si accreditano alcuni esempi di contrazione secondaria, come in pī́vopavasana- VS. “avvolto di grasso” = pī́vas + upa°. Ma per interpretare l’apparente “doppio saṃdhi” di vṛṣabhéva VI 46 4 (pdp. “bhā́-iva) = vṛṣabhá(s) iva e simili, si deve tenere conto della debolezza propria di iva 123.

  1. Un trattamento proprio di MS. Kap. è l’allungamento di -a (atonica) davanti a una vocale tonica, tipo samidhā ā́dadhāti = samidha ā́° “porta le legna”.
  2. Il trattamento pūtáy emi 119 lascerebbe presupporre che il passaggio da -as a -a si sia fatto per l’intermediazione di -ay, che sarebbe comunque un’analogia dei casi in cui la finale originale era -e. Si potrebbe vedere un altro indizio di questa evoluzione in vásyaṣṭi- YV. “ricerca di benessere” (RS. vásyaïṣṭi-), se si ammette che questa forma si basi su un’aplologia di *vasyay-aṣṭi-.
  3. Isolatamente: mahó ādityā́n X 63 5 (segnalato RPr.), da mahás.

141. -as davanti a sonora. - Il gruppo finale -as perde la sibilante davanti a sonora, in conformità con il 72; così supippalā́ óṣadhīḥ VII 101 5 = °pippalā́s. Allo stesso modo in composizione: ādaghná- “che va fino alla bocca”, da as ā́s- daghná-. È un caso particolare del niyata-saṃdhi. Raramente la contrazione è attestata, successivamente alla caduta di -s, tra ā divenuto finale e una vocale iniziale, anche simile.

Sul trattamento in -d (parallelo a quello citato 72 n. 1 137 c) in mādbhis, v. ad loc.

142. -s davanti a sorda. - Davanti a un’occlusiva sorda che possiede una sibilante corrispondente, cioè davanti a c- e t- (- iniziale è praticamente sconosciuto), una -s finale si adatta in -ś: così tebhíś cakṛmá IV 2 14 = tebhís; oppure si mantiene in forma dentale, yás te, passim.

Se si ha a che fare con il gruppo finale -is -us e simili, davanti a t-, gruppo dove la sibilante era cerebralizzabile secondo il 63, il passaggio da -s a - (portando secondo il 60 a il passaggio correlato di t- a -) era a portata di mano. In realtà, lo si trova quasi costantemente in composizione, come in duṣṭára- “difficile da attraversare”; ma da una parola all’altra, ha prevalso solo in caso di stretta connessione, cioè là dove la seconda parola in contatto è un pronome enclitico o un termine accessorio, cf. da un lato krátuṣ ṭám V 35 1, dall’altro vā́yus tatápa VII 104 15. Quindi -s rimane dentale nella maggior parte dei casi. Dopo la RS., le tracce di cerebrale vanno rarefacendosi (agníṣ ṭapati ŚB. IV 4 5 8 è fatto secondo le numerose entrate di mantra in agníṣ ṭád, ṭā́, ṭe, ṭvā, ecc.).

Per estensione, si trova -aṣ - in Kap. III1 (antaṣ ṭe per antas te) XXVI 9 e altrove.

143. Davanti a una k- e una p-, si verifica in condizioni analoghe, o il mantenimento di -s finale (dopo ā̆), o il passaggio a - (dopo un’altra vocale). Così in molti composti come paraspā́- “che protegge da lontano”, duṣkṛ́t- “che agisce male”; oppure da una parola all’altra (ma quasi esclusivamente nella RS.), yás pátiḥ X 24 3 o níṣ kravyā́dam X 162 2. Ma il trattamento di pausa () si introduce fin dalla RS., sia in alcuni composti dove la connessione di un membro all’altro era forse meno stretta o meno tipica, sia nei “giustapposti” chiamati āmreḍita 166, sia infine nel saṃdhi esterno. La natura del contatto gioca un certo ruolo. Così si ha divás pári 1 105 3 “del cielo”, che forma una connessione sintattica, rispetto a giréḥ pravartamānakáḥ I 191 16, dove la connessione è effetto del caso; in āmredita, páruḥ-paruḥ TS. “membro a membro”, ma pàruṣ-paruḥ RS. e altrove; cf. anche rā́jasaḥ pāré Vāl. 11 2, dove i manoscritti del Kashmir danno -as.

L’uso è piuttosto confuso, soprattutto dopo la RS.: -s (-) domina in generale, ma i Taittirīya preferiscono la forma di pausa, almeno dopo un a, e alcuni manoscritti hanno addirittura la dittografia -ḥs -ḥṣ; anche Kap. legge -, anche in composizione; VSK. mantiene la sibilante più spesso di VSM., ecc.

  1. In teoria, il visarjanīya si scrive sotto forma di jihvāmūlīya o di upadhmānīya 13; in realtà, si incontrano raramente questi segni, tranne nel paipp.
  2. Per estensione, -aṣ p- nel paipp. ad VI 46 1, 52 1 e passim.
  3. Adó pito 1 187 7 (pronome adás) risale probabilmente a una particella o attaccata al tema ad 287. Al contrario, íto ṣiñcata IX 407 1 si basa bene su ítas: è un’anomalia, segnalata nel RPr.

144. Se l’iniziale è un’occlusiva + sibilante, la - finale si ottiene come se la parola iniziasse con la sibilante, śatákratuḥ tsárat VIII 1 11. È l’effetto inverso del trattamento t/st, k/sk e simili 70 a. Il visarga è soggetto a cadere come quello sotto 145: ádha() kṣárantīḥ (senza in VII 34 2, con nel passaggio parallelo di PB.). In composizione, si ha divakṣas-, per *divaḥ-kṣas- 263 n.

145. Davanti a una sibilante, -s finale si mantiene o, davanti a ś-, si assimila. I Pr. insegnano talvolta -s (-ś) obbligatorio, talvolta danno la scelta tra -s e -, cioè tra il trattamento legato e il trattamento di pausa: così, da una parte, Śākaṭāyana in VPr. III8 (che conferma l’uso di VSK.), dall’altra Śākalya III 9 (che conferma VSM.). In realtà, i manoscritti divergono, e gli editori tendono a normalizzare con -. Già nella RS. (Libro X), si aveva vaḥ śivátamaḥ X 9 2, da vas, e naḥ sapátnāḥ X 128 9, da nas (enclitici).

Un caso interessante è quello dove la sibilante iniziale è essa stessa seguita da un’occlusiva (sorda), in altre parole dove si ha a che fare con sk- st- sp-. In questo caso, la sibilante finale cade necessariamente secondo i Pr. e di solito anche secondo i manoscritti; così stāyát AS. IV 16 1 = yás, N. sg. di -. È un’applicazione grafica della degemminazione 18. Aufrecht lascia cadere la finale, M. Müller la mantiene. I due trattamenti coesistono nei manoscritti di TS. (mentre la perdita di -s è costante in quelli di MS.), ma - prevale in TB. (soprattutto alla fine di pāda dispari), -s in generale in KS. In composizione, si ha iṣastút- “che loda l’offerta”, = iṣaḥ-stút- (pdp.).

Se la sibilante iniziale è seguita da una nasale o da una semivocale, - si mantiene (yáḥ śruténa TB. III7 6 5) più spesso di quanto non cada; di qui alcuni fluttuazioni e false analisi nei pdp. Anche qui, KS. conserva la finale, MS. la lascia cadere.

Perdita in composizione: barhiṣád- “seduto sulla lettiera rituale”, dove harki è stato percepito come un L. sg.; eventualmente iṣidh- 45.

146. Mantenimento della sibilante finale (eventualmente cerebralizzata) davanti alla desinenza -su in havíṣṣu (unico esempio nei mantra) da havís- “oblazione” e in diverse finali in -assu (a volte ridotte a -asu 74).

Infine, in duchúnā- “oppressione”, il gruppo finale -(u) davanti a ś- (cfr. śunám “saluto”) ha portato a -cch- (scritto -ch- 57) per analogia del trattamento -t ś- 125.

Il caso di una finale - originale (cioè non derivata da s) è attestato, dopo la vocale a, solo in ṣáṣ- “sei”. In composizione, davanti a una dentale sonora, il gruppo -aṣ evolve in -o (cfr. 27) come -as e secondo -as, ma con cerebralizzazione della dentale (61). Così ṣódaśa(n)- VS. “sedici” (ma ṣodant- citato Uvaṭa ad VPr. III 47). Davanti a suffisso secondario, si ha allo stesso modo ṣoḍhā́ 57.

147. Cerebralizzazione di s- iniziale. - Il trattamento “interno” del tipo (iṣ) è valido anche quando la finale è -i (-u, ecc.) e s- appartiene all’iniziale.

a) Innanzitutto e quasi costantemente, quando si tratta del contatto tra preverbo e verbo (cioè preverbo in -i o in -u, incluso níḥ dove il visarga è trattato secondo il 63 come non esistente). Così ṣyati da SĀ- (SI-). Nel caso di níḥ, la finale del preverbo si cancella davanti all’iniziale s + occlusiva 145, così ṣṭanihi VI 47 30 (pdp. e M. Müller níḥ). Come sotto il 63, il passaggio alla cerebrale è spesso frenato dalla presenza di una r () successiva, sṛja da SṚJ- (tuttavia si ha práti ṣphura e altre forme di radici che iniziano con s- + occlusiva); o dalla presenza di un r appartenente alla parola precedente, pári santi da AS-1 accanto a pári ṣanti. I derivati primari operano la cerebralizzazione come le forme personali del verbo, e a volte vanno anche oltre.

La tendenza ad evitare la sequenza - gioca conservativamente, così anuséṣidhat- da SIDH-; allo stesso modo, eventualmente, la sequenza - da cui susanitā- “generosità”.

148. b) Da ciò, s si diffonde dopo una vocale a in paryáṣasvajat da SVAJ- (I) (unico esempio nella RS.), cioè attraverso l’aumento. Altre forme di questo tipo emergono nei mantra successivi, praty aṣṭhāt KS. Kap. Āp., vy àṣahanta AS. secondo APr., ma i manoscritti sono incerti. c) Allo stesso modo attraverso un raddoppiamento, a partire da AS. taṣṭhe (favorito dal presente tíṣṭhati). Così si accredita una falsa radice ṢṬHĪV- da pratyáṣṭhīvan AS. d) Il processo è lo stesso nella composizione nominale, dove si ha da un lato góṣakhi- “avendo mucche come alleate” (accanto a gósakhi- “alleato alle mucche”, tatpuruṣa!), dall’altro hṛdispṛ́ś- “che tocca il cuore” (mantenimento di s a causa di ). La situazione è confusa, dando l’impressione di una certa arbitrarietà. I casi di cerebrale diminuiscono dopo la RS. nel complesso; cfr. tuttavia triṣaptà(n)- AS. “tre volte sette” = trisaptá- RS.

e) Estensione del movimento dopo una a in savyaṣṭhā́- AS. “che sta a sinistra”, fatto su *savyeṣṭhā- e su satheṣṭhā́- “che sta sul carro” (°ṣṭhā- °ṣṭha- è comune); in upaṣṭút 388 (la finale °ṣṭut è anche comune). Allo stesso modo práṣṭi- “cavallo da corsa” (prá + sti-) secondo abhiṣṭi- páriṣṭi-; pṛtanāṣā́h- “che combatte i nemici” (e ṣā́ṭ N. sg. isolato (I); da cui Ac. °ṣā́ham) si è formato secondo gli altri composti in °ṣā́h- cfr. 10. La presenza di una cerebrale finale ha sicuramente contribuito ad accreditare s, come si vede dalla parola ṣáṭ “sei”, che preistoricamente aveva una s- dentale. f) Gli avyayībhāva hanno , almeno nella RS.: anuṣvā́pam “dormendo”; gli āmreḍita, falsi composti, conservano s dentale: somé-some “a ogni soma”.

I mantra post-ṛgvédici mostrano una leggera tendenza a conservare o a ripristinare s dentale.

149. g) Si verifica persino che una -i -u finale di parola, specialmente appartenente a un termine strettamente legato al seguente, cerebralizza una s- iniziale, se tale s- fa parte integrante di una forma verbale più o meno breve o comune, di una particella, di un pronome monosillabico. Da qui i gruppi ṣma, abhí ṣáḥ, abhí ṣantu, abhí ṣiñca, diví ṣán, ū ṣú. Non ci sono esempi di -iṃ (-uṃ) -, ma alcuni di -iḥ (-uḥ) - (con caduta di 145) agní ṣṭave VI 12 k = agníḥ (agní Aufrecht, agníḥ M. Müller). Dopo la RS. il passaggio a si riduce, sopravvivendo quasi solo nel gruppo ū ṣú.

150. Cerebralizzazione di *n*- iniziale. - In modo analogo, n- dentale passa a - all’inizio delle radici, per effetto di una r appartenente a un preverbo precedente (prolungamento della cerebralizzazione interna 64). Così prá ṇak da NAŚ- 2. Il passaggio avviene similmente nei derivati primari, come praṇetṛ- “conduttore”, práṇīti- “conduzione”. È frenato, come per , dalla presenza di una r () o di una nella forma verbale (dissimilazione preventiva), così pári nakṣati di fronte a prá ṇak citato sopra. Si estende invece a una n finale di radicale, in nír haṇyāt da HAN- e simili; a una n affissale in prá hiṇomi (accanto a prá hinomi) da HI-; a una n di suffisso (primario) in °prágāṇa- “accesso”. Questa estensione è normale nella RS., diminuisce un po’ in seguito. L’uso è fluttuante nei casi in cui il membro anteriore è un nome invece di essere un preverbo; domina nei composti terminati da un nome-radice o un nome verbale, tipo vṛtraháṇam (ma D. sg. °ghné) “uccisore di Vṛtra”; n, anche all’inizio, domina negli altri composti, tipo trinā́bhi- “a tre mozzi”. A volte i mantra successivi rafforzano la cerebralizzazione, come in triṇavá- VS. “costituito da tre volte 9”; ci sono variazioni da un testo all’altro.

151. Infine, capita che n- situato all’inizio di un enclitico passi a nelle condizioni sopra citate. Si tratta quasi sempre del pronome nas: così asthūrí ṇau VS. II 27 (ma cfr. a° naḥ RS.), prá nas e prá ṇas si equivalgono. Il trattamento si estende a n interno nell’enclitico ena-, come in índra eṇam I 163 2 (enam KS.) e persino (caso estremo) in una parola forte, nṛbhir yemāṇáḥ SS. (= yemānāh RS.). Variazioni secondo i mantra e i testi; la JS. segue qui l’uso della RS.

Passaggio da n a n iniziale per effetto di un -ṇ finale derivato da ṭ: in váṇ ṇámaḥ Ta. V 8 3 — váṭ n°.






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