sanscrito vedico

il verbo - altri sistemi



II. - ALTRI SISTEMI VERBALI

332. Sistema del perfetto. — Il perfetto costituisce un sistema atematico, quindi dotato di alternanze regolate nello stesso modo del presente atematico, sia dal punto di vista del vocalismo che dal punto di vista del tono (eccezione al congiuntivo 336). Le caratteristiche essenziali sono la forma delle desinenze (almeno alla voce attiva) e la presenza (quasi necessaria) di un raddoppiamento. Tutti i modi sono attestati, ma la produttività è limitata, fuori dall’indicativo (e dal participio), l’attaccamento semantico al perfetto è debole o nullo al congiuntivo, all’imperativo e all’ottativo e le forme sono in parte secondarie.

Nel complesso, il perfetto è frequente e si costruisce su più di 300 temi verbali.

Contrariamente al presente, il timbro dominante nella sillaba raddoppiante è -a-. Tuttavia, come altrove, le radici a vocalismo i (u) raddoppiano, in i (u); comprese quelle dove detto vocalismo appare al solo grado ridotto, così suṣupur, da SVAP-, da vivyāca di VYAC-. Di conseguenza, nelle radici dove un elemento va- iniziale alterna con u-, il raddoppio in u-uvā̆- nelle forme forti (così uvā́ca di VAC- (tenendo conto di 40 n. 5) e ū- (contrazione di u + u) nelle forme deboli (ūcúr; ma vavāca al Libro I). Allo stesso modo ījé, 3a sg. del medio di YAJ- (attivo iyāja non attestato nei mantra); yejé secondo 334 fin.

Nelle radici BHŪ- e SŪ-, il vocalismo nella sillaba raddoppiante è -a-, ciò compensa il mantenimento insolito di un grado ridotto in -ū- (cfr. 33) nella sillaba radicale: babhū́va, sasū́va (suṣuvé AS.); il vocalismo di śaśayāná- di ŚĪ- si ispira al presente sage.

Ibrido sísratur Vāl. di SṚ-.

Il raddoppiamento, è lungo, ritmicamente, davanti a una sillaba leggera in parecchie forme, tipo vāvṛdhé 305: contro ogni tendenza ritmica, nānāma ibid. o cāskámbha (X) di SKAMBH-: bisogna tenere conto di una possibile influenza dell’intensivo. C’è trasferimento del vocalismo lungo tra l’attivo sāsáhat e analoghi di SAH- e il medio sasāhé (in entrambi i casi, come altrove, il pdp. ristabilisce a breve).

Per quanto riguarda il consonantismo del raddoppiamento, è regolato dagli arrangiamenti fonici generali: palatalizzazione cakā́ra 52 (gutturalizzazione del radicale jigā́ya ibid.), desaspirazione (combinata con le tendenze precedenti) jaghā́na ibid. e 50; raddoppiamento in t- di un gruppo st- tasthaú di STHĀ- secondo 70; risoluzione in -iy- -uv-, cfr. 33 c e d.

Anomalo: jabhā́ra 58.

333. Nelle radici con iniziale vocalica, non c’era una soluzione stabile. L’anteposizione della vocale produce il risultato ā nelle radici che iniziano con a (e ār- nella radice il cui tema pieno è ar-); nelle radici che iniziano con i- u-, c’è una contrazione nelle forme deboli, īyúr di I-, ūce di UC-, sviluppo di una semivocale nelle forme forti per mantenere la struttura trisillabica, iyétha, uvóca (cfr. 32). Infine A(Ṃ)Ś- e AÑJ- hanno un raddoppiamento nasale corrispondente alla nasale del tema pieno: ānáṃśa (anche ānāśa) ānañja: (da cui medio ānajé); questa soluzione si estende a ṚDH- (ānṛdhe X) che ha un presente con nasale, poi a ṚC- (ānṛcúr) e ad alcune altre. Secondo il rapporto ānāśa (precedente) / NAŚ- 2, si forma infine da NAH- un perfetto anāha (prob. 3a sg.; a iniziale breve come in anaja (2a pl.) e anajyāt ottativo di AÑJ-, secondo il presente anáktï).

Il raddoppiamento è autenticamente assente nel perfetto di VID- 1: véda, forma antica con valore di presente (“egli sa”). Le poche altre forme non raddoppiate, come takṣur di TAKS- e un piccolo gruppo di 3a pl. attivo — nessuna nelle forme forti — hanno probabilità di essere state imitate dal presente o dall’aoristo.

Al participio, oltre a vidvás-, ci sono dāśvás- di DĀŚ- (dadāśvás- raro) e mīḍhvás- (di MIH-? 56) che appaiono come forme autonome; inoltre, sāhvás- (pdp. sah°) accanto a sāsahvás- di SAH-.

334. L’alternanza comporta al sg. dell’attivo (nell’indicativo) il grado pieno; allo stesso modo al congiuntivo (attivo e medio) e alla 3a sg. dell’imperativo attivo. Altrove, incluso il participio, il grado ridotto. Il tono è sul radicale nelle forme forti, sulle desinenze nelle forme deboli. Il tratto significativo è l’allungamento di una -a- radicale in sillaba leggera alla 3a sg. attivo (44): così che cakā́ra di KṚ-, ad esempio, ha lo stesso ritmo di cakarta di KṚT- o mumóda di MUD-. Ma alla 1a sg., che ha la stessa struttura, e rara comunque, -a- rimane breve per distinzione; un solo caso di -ā-, in vavāra di VṚ- 1 (TS.).

  1. Il grado pieno si mantiene in alcune forme come viveśur (anche viviśur) di VIŚ-, yuyopimá di YUP- e alcune altre, senza contare i casi dove il grado ridotto è poco o per nulla attestato, e quelli, come jajanúr di JAN-, jaharur AS. di HṚ-, dove si tratta di un’estensione impropria dei fatti descritti 35 e 36. Inversamente, babhū́va sasū́va 332. Grado lungo in mamā́rja di MṚJ-, come e secondo mā́rṣṭi 312.
  2. Considerando che la maggior parte delle desinenze inizia con una vocale (o è preceduta da un -i-), i contatti che potrebbero dare luogo ad alterazioni fonetiche sono ridotti al minimo. L’aspetto ir (ur) del grado ridotto in titirur tuturyā́t di TṜ- e analoghi si spiega con 37. Perdita della vocale radicale secondo 20 in paptimá e jakṣīyā́t (336).
  3. Le radici terminate in -ā- (immobile) cancellano questo -ā- davanti a vocale nelle forme deboli, 3a pl. papúr di PĀ-1, cfr. 40 n. 2.

Una serie di radici contenenti una -a- preceduta da consonante e seguita da una consonante di natura tale che la forma debole normalmente non sarebbe distinta dalla forma forte, quindi praticamente di una occlusiva, seguono un’evoluzione inaspettata: il tema debole ha il vocalismo -e- e il raddoppiamento è inapparente, così 3a sg. medio śepé di ŚAP-. L’origine del movimento è analogica: il punto di partenza principale, se non unico, è il perfetto debole della radice SAD- che dava regolarmente sed- secondo 27 partendo da sa-sd- secondo 20: sedimá sedúr sedire. Il procedimento si estende a qualche radice terminata da una nasale, come 3a sg. medio neme (I) di NAM-, teniré AS. di TAN-, e anche, nonostante la possibilità di un’alternanza ya/i, in yejé di YAJ-; infine in una radice vocalica, (ny)èrire (che non è opportuno ricondurre alla base īr-).

C’è comunque una lotta tra questa soluzione e il procedimento normale: cfr. ījé- citato 332; bedhiré AS. a fianco di un babadhe suggerito dall’attivo babándka AS. di BANDH-.

335. Le desinenze all’attivo hanno una finale -a o -ur: al singolare, 1ª -a 2ª -tha 3ª -a; al duale, 1ª - (non attestata nei mantra) 2ª -áthur 3ª -átur; al plurale, 1ª - 2ª -á 3° -úr; solo - e tha sono normalmente allungabili (109). La caratteristica finale in -r si è, come si vede, estesa al duale con il timbro vocalico penultimo -u-. Si ritrova questa stessa finale alla 3ª pl. medio, allargata in - (96) per adattamento della finale comune -é, identica alle desinenze del presente medio (eccetto che la 3ª sg. è in -é, senza dentale penultima). Così, solo l’attivo ha desinenze autonome.

Le radici terminate in -ā- hanno alla 3ª sg. dell’attivo (e prob. anche alla 1ª sg., che sembra inattestata) una finale -: es. tasthaú di STHĀ-. La finale autentica doveva essere -ā, prodotto della contrazione tra l’ -ā- radicale e l’ -a desinentale: la si ha in paprā́ (davanti a consonante) di PRĀ- (hapax, Libro I), forse in jahā́ (1ª sg. ?) di HĀ-1, in tasthā (in iato, quindi poco probante) KS. MS. VSK. variante con -au Vâl. VS. TS. La generalizzazione di -au può essere dovuta all’influenza delle finali nominali in -ā / -au, o al lontano substrato di una base annessa in -u- (22 n. 1).

L’ -i “di collegamento” appare stabilmente, come rinforzo desinentale, davanti a consonante, favorito in parte dalle tendenze ritmiche. Le radici in -i- -u- finale non lo presentano, eccetto babhū́vitha. di BHŪ-; quelle in -ṛ- finale lo hanno poco tranne davanti alla 3ª pl. in -re (cakriré di KṚ-), quelle in -ā- lo estendono a - - - (dadhiré di DHĀ-). Infine, nelle radici a finale consonantica, non c’è -i- quando la sillaba precedente è leggera, c’è -i- (davanti a -tha -má- - -) quando è pesante: da una parte, yuyujré di YUJ-, dall’altra jagmire- di GAM-.

  1. Da notare che dal punto di vista tonico l’elemento -i- non conta come parte della desinenza.
  2. Si riscontra una traccia di una finale sovraccaricata alla 3ª pl. medio, in -rire, dopo base terminata in consonante, generalmente come doppione di -re: vividrire (e vividré) di VID-1. L’origine deve essere nelle 3ª pl. dadhre (X) di DHṚ- (e non di DHĀ-; cfr. la var. dadhur Kap. XXVIII 2) cakre (X) di KṚ- che, foneticamente, regolari, sono stati sostituiti da dadhrire cakriré.
  3. Anomalie: iyatha 45 ūhyā́the (3ª du.) di ŪH-, ayuthur(!) Nigh. di I-.

336. I modi hanno una certa frequenza solo nella RS. Sono a volte difficili da distinguere, non avendo autonomia di significato né caratteristiche formali diverse dalla partecipazione al raddoppiamento. La voce media è rara. Il modo più frequente è il congiuntivo, che a differenza dell’indicativo ha il tono iniziale (influenza del sistema del presente raddoppiato?). Una forma come jújoṣat(i) di JUṢ- potrebbe essere sia un indicativo rifatto sul tema del perfetto sia un ampliamento dei presenti secondo 317: il valore modale è debole.

  1. Al posto del grado pieno, diverse forme hanno il grado ridotto, come mumucat di MUC-.
  2. Doppio segno modale in papṛcāsi di PṚC-.
  3. La 1ª sg. del medio śaśvacai (tono desinentale!) di SVAÑC- è fatta sulla 3ª sg. śaśvacate, a sua volta rifatta sulla 1ª sg. śaśvace.

L’ottativo (-yā- tonico all’attivo, -i- atono al medio) presenta alcuni tratti fonici che sembrano risalire al sistema dell’aoristo, come l’allungamento di u in fine di radicale, śuśrūyā́s di ŚRU- come śrūyās; l’evoluzione di finale in -ri-: cakriyās 38.

Forme particolari: anajyāt 333; jakṣīyā́t (cfr. 20) (che si legge comunque -ṣyāt) di GHAS- (accanto a papīyāt di PĀ- I, vocalismo radicale come pītá-) ha un -ī- analogico delle numerose finali in -īyāt.

L’imperativo è anch’esso poco differenziato. La finale della 2ª sg. è in -dhí (tranne, dopo vocale, piprīhi di PRĪ), la 3ª pl. del medio in -rām in dadhṛśrām AS. di DṚŚ-. Alcune desinenze, in particolare -sva, si attaccano a una vocale tematica (vāvṛdhasva di VṚDH-), avviando vagamente, in connessione con il tipo jújoṣat(i) citato prima, un movimento di tematizzazione del perfetto tramite i modi.

Per quanto riguarda il participio attivo, il suffisso -vás- (246), molto singolare nella sua flessione, include un -i- di collegamento, sia autenticamente nelle antiche basi “dissillabiche”, sia, per comodità ritmica, dopo due consonanti: da una parte, paptivás- di PAT(i) (e persino okivás- 51), dall’altra jakṣivás- AS. YV. di GHAS-, vavrivás- di VṚ- 1. In ogni caso, l’ -i- cade davanti al vocalismo suffissale -u-(ṣ)- (40).

Fluttuazione tra -anvás- / -avás- secondo 35 (sasa[n]vás-). Estensione di -i- in īyivâs- di -i-, senza īyivás- TS. di VIŚ-. Estensione del radicale pieno in tatarúṣas (G. sg.) di TR- secondo 36 n. 2. Aberranti vavavrúṣas (id.) (I) di VṚ- 1 (contaminazione) jānúṣas (id.) 321 pipiṣvatī (I) di PIṢ- per scivolamento nella derivazione in -vant-.

Il participio medio è in -āná-, come il presente atematico (rari casi di tono iniziale quando la vocale del raddoppiamento è lunga, come in śū́suvāna- di ŚU-). Una sola forma utilizza il suffisso del presente tematico: sasṛmāṇá- (hapax) di SṚ.- (accanto a sasrāṇá-): forse una sopravvivenza. È l’unica forma in -māna- dove il suffisso porta il tono.

337. Trapassato. — Le forme del trapassato (cioè del preterito del perfetto) sono anch’esse difficili da determinare, tanto più che il valore (quello di un semplice preterito) non permette di differenziarle. Sono forme raddoppiate, generalmente dotate dell’aumento, tematiche così come atematiche. Si trovano accanto a perfetti (attivi) con senso di presente, così abibhet serve da imperfetto a bibhāya di BHĪ- (piuttosto che essere imperfetto di un bibheti poco o per nulla attestato nei mantra); ádīdhet accanto a dīdhaya di DHĪ-; cākán accanto a cākana di KAN-: si trattava in sostanza di trasferire al preterito dei perfetti con senso di presenti. Ma il senso causativo invita a considerare amumuktam mumucas di MUC-, costruiti come i precedenti, piuttosto come gli imperfetti di un mumokti (tematizzato in mumocati).

Se le formazioni atematiche sono in linea con il perfetto attivo, come si vede dagli esempi precedenti, le formazioni tematiche sono piuttosto associate al medio: asasvajat (accanto a sasvaje) di SVAÑJ-; in questo gruppo, in particolare, ci sono finali in -anta, come paprathanta (accanto a paprathe) di PRATH-. L’appartenenza al sistema del perfetto è indiscutibile, per motivi di vocalismo radicale, in ápeciran (accanto a pece) AS. di PAC-.

  1. 3ª pl. del medio in -ranta (= r + finale comune anta): avavṛtranta di VṚT-.
  2. L’influenza dell’aoristo raddoppiato, che si manifesta semanticamente in diverse forme, è sottolineata morfologicamente dalle poche finali della 2ª 3ª sg. attivo in -īs -īt (dadharṣīt di DHṚS-).

338. Sistema dell’aoristo. Generalità. — La formazione è abbondante (450 temi verbali) e non mostra una chiara preferenza per radici di una particolare forma o significato. In contrasto con il sistema del presente, l’indicativo consiste solo in forme con desinenze secondarie; come all’imperfetto, l’aumento è facoltativo.

Le desinenze sono le stesse dell’imperfetto, tranne la predominanza di -ur alla 3ª pl. attivo. Solo la presenza parziale di un affisso sigmatico, di aspetto caratteristico, distingue formalmente l’aoristo dall’imperfetto. In assenza di questo affisso, ogni forma con un corrispondente presente viene classificata come imperfetto, mentre ogni forma senza un presente dello stesso tipo viene classificata come aoristo.

È vero che molte forme isolate sono impossibili da classificare con certezza; inoltre, la presenza di presenti rifatti secondariamente come dā́ti dhāti sthāti bhūthás non impedisce alle formazioni del tipo ádāt ábhūt, ecc., di essere aoristi.

Come nel presente, si distinguono da un lato le formazioni radicali (atematiche, tematiche semplici, tematiche raddoppiate) e dall’altro le formazioni affissali (atematiche e tematiche). Molti verbi hanno più di un tipo di aoristo, ma raramente le forme sono simmetriche: sono “tentativi” e molte formazioni sono ambigue; inoltre, le formazioni modali, comuni a entrambi i sistemi, hanno favorito gli spostamenti.

  1. Tra le tendenze generali, notiamo che l’aoristo medio è quasi sempre tematico; che i presenti del tipo tudáti 326 hanno un aoristo in -s; che ad un aoristo senza affisso corrisponde di solito un presente con affisso (nasale) e viceversa. La distribuzione tra le formazioni in -s- e in -is- ha avuto come punto di partenza, come altrove, l’antica caratteristica “monosillabica” o “dissillabica” della radice.
  2. Scambi all’interno dello stesso paradigma: 1ª sg. medio con -s-, ádikṣi di DIŚ-, 3ª senza -s-, adiṣṭa (che teoricamente potrebbe anche basarsi su adiś-s-ta 71); distribuzione inversa, 1ª sg. medio ajani/ 3ª ájaniṣṭa di JAN-. In realtà, attivo e medio non sono spesso formati con lo stesso tipo di aoristo.

Come nel sistema del presente, le forme atematiche hanno un’alternanza radicale — anche dove c’è l’indice -(i)s-, che non è considerato un vero affisso — riguardante la vocale e l’accento, ma più o meno distinta da quella del presente e abbastanza confusa; nei tipi sigmatici esistono particolarità non riscontrabili altrove. Dove manca l’alternanza, il grado ridotto del radicale domina. Come nel presente, l’affisso modale in -yā- riceve il tono; le forme raddoppiate trasferiscono parzialmente il tono sull’iniziale. L’accentuazione dei modi, incluso il participio, conferma l’incertezza della tradizione accentuale nel sistema.

I modi (soprattutto attestati nella RS.) sono gli stessi del sistema del presente, ma distribuiti in modo diseguale a seconda delle formazioni; nel congiuntivo (che è frequente solo nei tipi atematici), le desinenze secondarie sono fortemente predominanti, e il medio è distribuito diversamente dall’attivo; il doppio affisso modale esiste solo in vocāti 342. Sul precativo, v. 348.

339. A. Aoristo radicale. — L’aoristo radicale (atematico) è particolarmente frequente nella RS. (cento temi in totale, sebbene per la maggior parte scarsamente rappresentati). L’unica differenza con l’imperfetto radicale è che la 3ª pl. dell’attivo è più spesso -ur che -an (specialmente nelle radici terminate in -ā- dove la soluzione -an era ambigua); tuttavia, -an (come in ákran di KṚ-) non è eliminabile. Al medio -ran (-ram, 309) è più frequente di -ata, che appare principalmente dopo r o nasale.

L’alternanza è incerta: se la forma piena è assicurata al sg. attivo (eccetto in ábhūt, trattato come il perfetto babhū́va), se la 3ª pl. attivo è anch’essa piena (eccetto ábhūvan) e la voce media è “ridotta” (áganmahi gánvahi e analoghi sono spiegabili con 35), al contrario, la 2ª e la 3ª del duale e del pl. attivo suggeriscono che in origine, come all’aoristo sigmatico, il grado pieno si estendeva al duale e al plurale (3ª pers. del pl. esclusa) dell’attivo, vedi ákarma (ma kṛta AS.?) di KṚ-, áhetana di III-, ecc.

  1. Alla 3ª pers. del pl. attivo, un -ā- alla fine del radicale scompare davanti a -an e -ur (come al perfetto 334 n. 3).
  2. Le finali attese (22 e cfr. 40 n. 2) in -i- (-ī) delle radici terminate in -ā- sono attestate in ádhita (AS. ahita 58) e prob. dhiṣvá di DHĀ-; asthita e prob. ásthiran di STHĀ-; adimahi di DĀ- (TS.); -ī- in adīmahi VS. dīṣva VS. adhītām X 4 6 adhīmahi (secondo le finali in -īmahi d’ottativo).
  3. Trattamenti fonetici: i radicali terminati in palatale hanno la finale di 2ª e 3ª sg. attivo (secondo 99) talvolta in -k (várk di VṚJ-, amok di MUC-; su avṛk, vedi 77), talvolta in - (ábhrāṭ di BHRĀJ-; entrambe le soluzioni in NAŚ- 2, cfr. anche 150); perdita di vocale radicale gdha e (a)kṣan 20; trasferimento di aspirazione dhak dhaktam 49. Perdita della desinenza -s -t dopo consonante secondo 103, da cui la rifacitura artificiale di una finale -t di 3ª sg. in aghat ibid.
  4. Anomalie: vám (per varam) 133 di VṚ-1, basato sulle 2ª 3ª sg. vár; ásrat VS. (grado ridotto) di SRAṂS-; ā́dat 103 n. 1 (accanto a dárt). Per la scansione di kar, vedi ibid.

La tematizzazione avviene per aggiunta di -a- sia al tema pieno, ákarat 341 / ákar RS.; sia al tema ridotto, bhúvat (che può essere anche in parte il congiuntivo di bhū́t); per abbreviazione di un -ā- finale, dhat (hapax) di DHĀ-, asthat di STHĀ- (in vy ā̀sthat TB. davanti a vocale, variante con il pl. vy ā̀sthan AS. davanti a m-). Ma ā́dat di (ā́-) DĀ- è una normalizzazione da āda, 3ª sg. del medio a desinenza -a (come 314); su questo ā́dat si è rifatto ā́dam ā́das.

340. L’ottativo è regolare (alternanza -yā́-/-ī-), ma diverse forme tratte da radici in -ā- finale utilizzano un vocalismo -e- (dissillabico 29): deyām di DĀ-, dheyām di DHĀ- (anche dheyur e addirittura dh etana dhéthe), stheyāma di STHĀ-: probabilmente un compromesso con l’ottativo tematico in -eyam -es -et, e cfr. 31 n. fin.

Sāhyā́ma (pdp. sah°) ha una -a- radicale lungo come molte altre forme di SAH- e dei suoi derivati.

L’imperativo 2ª sg. attivo è in -dhi (-hi solo in gahi e dopo un -ā). Come nel sistema del presente, il grado pieno si accresce in yódhi 48 (e bódhi ibid.) e più spesso alla 2ª pl.: śróta di ŚRU- (śruta raro), il che, come altrove, attira il tono radicale (eccetto in bodhí e in yandhí di YAM-).

Alterazioni fonetiche: [viḍḍhi 55], vóḍhvam 61 (anche voḍham voḍhā́m).

Infine, il participio attivo è raro, il medio più frequente e spesso senza corrispondente all’indicativo medio né persino attivo. Il tono è sulla sillaba finale, ma (come al participio presente 313 n.) talvolta anche, senza motivo apparente, sulla sillaba radicale: dyutāná- dyútāna- (X) di DYUT-, dṛśānà- dṛśāna- di DRŚ-.

Una forma di difficile interpretazione è krāṇá- (“pronto a, agendo in comunione con”), funzionante soprattutto come I. avverbiale.

341. B. Aoristo tematico. — L’aoristo tematico è simile (inclusa la 3ª pl. attivo) a un imperfetto tematico del tipo átudat. È raro al medio, e la categoria media potrebbe essere interamente secondaria. Il grado ridotto è stabile, tranne nelle finali di radicale in -an- (-am-) e -ar-, che si mantengono davanti a vocale (ásanat di SAN-, ákarat AS. di KṚ.-; al contrario: kránta Libro I), così come all’imperativo sána e sára di SṚ-, il che si spiega con 35 b 36 n. 2; c’è persino in śíṣat di SĀS- un grado ridotto insolito nel sistema del presente. Sulle finali dhat ā́dat āsthat, vedi 339.

Il tono rimane sulla vocale tematica nelle forme inaugmentate, ma con trasferimenti sulla vocale radicale ovunque ci sia un grado pieno o un’apparenza di grado pieno: vidás di VID- 1 / káras di KṚ- (e persino śíṣat citato prima).

  1. Allungamento: rī́ṣant- (accanto a riṣant-) 42.
  2. Anomalie: áneśan YV. néśat di NAŚ- 1: su una base di perfetto neśur fatta secondo 334 (quindi si potrebbe interpretare la forma come un trapassato). La tematizzazione è stata probabilmente guidata dalla pesantezza della prima sillaba: ciò spiega anche ā́khyat di KHYĀ- sostituito a ākhyāt, mentre avyat è spiegabile come áhvat, cioè partendo da VYĀ- (HVĀ-), o dalla base breve VĪ- (HŪ-); áhvat è scandito come ahuvat.

La categoria è fragile, a causa soprattutto dell’ambiguità della 1ª sg. attivo in -am, e dell’analogia esistente tra l’“ingiuntivo” di questa serie e il congiuntivo dell’aoristo radicale. I modi, poco frequenti, comprendono specialmente delle finali d’ottativo in -eyam e -ema: è impossibile sapere se sanéma (tono penultimo 325) gaméma (id.) appartengano qui o vadano, nonostante la divergenza accentuale, con i presenti o pseudopresenti vánati gámati: cfr. l’accentuazione concorrente sánema.

Su sanem, vedi A.

342. C. Aoristo raddoppiato. — Un aoristo raddoppiato, di solito tematico, è attestato e abbastanza frequente (90 temi), caratterizzato da un raddoppiamento in -i- (-u-).

Si trova traccia di raddoppiamento in -a- solo in alcune forme peraltro aberranti, come apaptat di PAT- (radicale secondo 20), ávocat 28 (la sequenza -vu- sarebbe stata impossibile) e in alcune delle forme atematiche. Questi aoristi a raddoppiamento -a- sono intransitivi (intensivi), mentre la maggior parte degli aoristi a raddoppiamento -i- (-u-) è transitiva, da cui la loro associazione con i presenti in -áyati 330 e la loro intrusione nel sistema causativo (cfr. 436).

Il raddoppiamento in -i- (-u-) si associa con una formula ritmica inedita: allungamento della vocale al raddoppiamento davanti a una singola consonante, la sillaba radicale essendo breve, es. ájījanat di JAN-. Questo ritmo desiderato comporta un grado ridotto al radicale, là dove il grado pieno avrebbe impedito l’allungamento della vocale del raddoppiamento: quindi, abūbudhat di BUDH-. Ma dudrávat di DRU- (u breve davanti a due consonanti). Con grado pieno: adidyavat (stobha) di DYU-, con raddoppiamento in -i- 305 n. 2 (spiegazione probabile del grado pieno 214); adīdharat di DHṚ- (spiegazione probabile del grado, come in ájījanat e analoghi, con 35 b 36 n. 2). La soluzione adottata porta a preservare la struttura quadrisillabica, usuale in tutta questa formazione. In avīvaśanta di VĀŚ- e in alcune altre, il ritmo lungo seguito da breve è ottenuto con l’abbreviazione della vocale radicale.

Il tono è in principio sul raddoppiamento, ma non senza alcune incertezze: pī́parat (I) / pīpárat di PṜ-.

  1. Radice con iniziale vocalica (caso raro): āmamat di AM-. Su apiprem, vedi 4; su atītape, vedi 350.
  2. L’aggregazione al sistema causativo ha provocato alcune aggiunte di -p- alla fine del radicale, vedi 358 n. (e, indirettamente, bībhiṣathās ibid.).

Le forme modali sono poche e in parte mal distinguibili: ottativo ririṣes (senza allungamento di -i-!) di RIṢ-, imperativo śiśrathantu di ŚRANTH-. Sulla base del congiuntivo vocāti, imperativo vocatu, ottativo vocema, si è costituito un pseudo-indicativo vócati.

343. Gli aoristi atematici di questa categoria hanno il grado pieno alle 2ª 3ª sg. dell’attivo (non ci sono forme distintive per la 1ª sg.); grado ridotto probabilmente al duale e al plurale, dove mancano esempi chiari, tranne all’imperativo (didhṛtam, senza allungamento di -i-, di DHṚ.-; jigṛtà, id. di GṚ- 2). Il tono oscilla tra il raddoppiamento e la desinenza e le formazioni sono generalmente raddoppiate da formazioni tematiche, come ádīdharat di fronte a didhṛtá e dīdhar. In ajagrabhīt di GṚBH, la finale deriva da agrabhīt secondo 346; in acucyavītana (radicale al grado pieno!) di CYU, dall’ottativo medio cucyavīrata (stessa particolarità, di fronte a cucyuvīmáhi). Desinenza -ur di 3ª pl. attivo in ácucyavur (214) e altri, se queste forme sono effettivamente aoristi, come sembra probabile.

344. D. Aoristo en -s-. — Questo aoristo, originariamente proprio delle radici “leggere” o non dissillabiche 338 n. 1, si è diffuso oltre i suoi limiti, fino a includere un gran numero di temi verbali di ogni struttura. Il tipo è atematico e quindi alterna. All’attivo, il grado è lungo — l’unico grado lungo autentico esistente nella flessione verbale —; al medio, il grado è ridotto (per quanto la radice possa riceverlo), tranne nei radicali che terminano in vocale breve (al grado ridotto) e che, per ottenere una sillaba pesante conforme agli altri tipi di radicali, ricevono il grado pieno. Ad esempio, ajaiṣam di JI-, pl. ájaisma; medio 1ª sg. astoṣi 3ª pl. astoṣata di STU- o asṛkṣi ásṛkṣata di SRJ-.

  1. Il grado lungo manca nella 2ª sg. (ingiuntivo) jes di JI- (e pl. corrispondente jeṣma), formati sul congiuntivo jeṣat (modello bhū́t / bhúvat); jeṣam atteso porta a sua volta yeṣam di YĀ- e alcune altre finali in -eṣam di radici in -ā (inoltre, deṣma VS. di DĀ-, jñeṣma paipp. di JÑĀ-, stheṣur AS. di STHĀ- e, caso estremo, 3ª sg. set VS. di sā-, base annessa di SAN(i)-). L’influenza del tipo jeṣi 316 n. non è esclusa. Altre anomalie riguardanti il grado: agasmahi (I e X) di GAM-, così come masīya (X) (1ª sg. ottativo medio) di MAN- (il grado lungo māṃsta AS, accanto a maṃsta, è anch’esso errato) e alcuni altri; yūṣam AS. di YU- 2 è influenzato da 42; sākṣi (1ª sg. medio) e sā́kṣva (imperativo) di SAH- hanno un -ā- conforme alla tendenza generale in questo verbo e nei suoi derivati. — Ajayit 97.
  2. Alle 2ª e 3ª sg. attivo con desinenza secondaria (dove più spesso la desinenza -s -t è caduta foneticamente dopo consonante) esiste una variazione quantitativa del tipo askan Kap. I 9 / askān KS. (skán RS.) di SKAND-, dove la forma breve deriva dall’aoristo radicale, la forma lunga dall’aoristo sigmatico.

Il tono dei temi pieni è radicale, quello dei temi ridotti, presumibilmente desinentale, ma l’estrema rarità delle forme accentuate inaugmentate non permette di stabilire chiaramente la distribuzione.

Alterazioni fonetiche (numerose) alle 2ª e 3ª sg. attivo: oltre alla perdita della consonante penultima (e antepenultima) secondo 103, c’è il passaggio di una palatale (h incluso) a ṭ (99) in ayāṭ di YAJ-, aprāṭ di PṚŚ-, ávāṭ di VAH-; a k in bhāk di BHAJ-, mauk di MUC-, dhāk (con trasferimento di aspirazione 47) di DAH-; da m a n in ayān di YAM- secondo 101; da h iniziale a gh (per imitazione di altre forme verbali) in (pra)ghān Āp. VI 21 1 di HAN-; da st a t in avāt 74. Ma il tratto più significativo è il ripristino di una desinenza -s -t che espelle la consonante finale autentica, 2ª sg. ayās di YAJ-, srās 75, 3ª sg. aśrait AS. di ŚRI- áhait AS. di HI- (ma nella RS.: 3ª sg. regolare ajais di JI-). Contatti all’interno, ayasta di YAJ- secondo 56 71 āstodiivam 61 73.

Al medio, i gruppi kt (tt pt) possono risalire a k-s-t secondo 71; infine, è il paradigma a decidere se aggregare o meno forme come árabdha (49) agli aoristi sigmatici: 3ª sg. medio ábhakta ne è uno a causa della 1ª sg. ábhakṣi, cfr. 71.

345. La desinenza di 3ª pl. attivo (tranne che nel congiuntivo) è -ur. Nelle 2ª e 3ª sg. attivo, l’oscurità o la difficoltà delle forme ha provocato un allargamento in -īs -īt, la cui origine è da ricercare nell’aoristo in -iṣ- e eventualmente nell’imperfetto ábravīt. Queste finali appaiono a partire dai Khila e da AS. YV.: ad esempio, avātsīs AS. di VAS- 3 (trattamento -ts- secondo 74); d’altronde, le forme antiche si sono mantenute parallelamente.

Tra le formazioni modali, solo il congiuntivo ha una certa frequenza (con grado pieno permanente e tono radicale). Ci sono tracce di un ottativo (medio, grado variabile e tono desinentale) e (ancora più raro) di un imperativo (medio) e di un participio (attivo, dákṣat- e dhákṣat-: fonismo 47, flessione 248). Non ci sono tracce dell’imperativo in -dhi, così ben attestato altrove.

  1. Anomalie: trā́sāthe (congiuntivo, 2ª du. medio) di TRĀ- (per trāsaithe, secondo gli indicativi presenti atematici); trā́sīthām (ottativo, 2ª du. medio) dello stesso (per trāsīyāthām): fatti di “perseverazione”; dais (injonctif, 2ª sg.) di DĀ- (MS. IV 9 12 = dās TĀ.) sul tema deṣam (fatto come yeṣam 344), secondo l’equazione ajais/jeṣam.
  2. La finale -tai del congiuntivo è rappresentata solo in máṃsatai TS. (3ª pl.) di MAN- e in mā́sātai AS. (3ª sg.; notare ā pre-desinentale!) di MĀ-1.

346. E. Aoriste en -is-. — In questo aoristo, l’alternanza è cancellata a causa della presenza dell’ -i “di collegamento”, e il grado pieno si è esteso anche al medio (ad eccezione, isolatamente, dell’ottativo gmiṣīya di GAM- VS. e di alcune altre forme post-rigvediche, inclusi l’attivo ágṛbhīt VSK. ad XXVIII 23 e 46 = ágrabhīt VSM.).

La voce attiva, tuttavia, ripristina una distinzione allungando di solito una -a- radicale in sillaba leggera (44), così che si trova la pseudo-alternanza asāniṣam / saniṣāmahe di SAN-. Il tono è ovunque radicale, tranne in tāriṣúr di TṜ- AS.; almeno all’indicativo; qualche fluttuazione, come altrove, nelle serie modali.

Come nell’aoristo en -s-, si introduce — come necessario — una finale di 2ª 3ª sg. attivo in -īs -īt [non pienamente spiegata], che sostituisce la finale attesa -iṣ-s -iṣ-t, che avrebbe dato un risultato molto oscuro. Si ha così ákārīt di KṚ-, injonctif mardhīs di MṚDH-. Sulla finale -īs -īt è stata rifatta una 1ª sg. in -īm in alcune forme a partire dal Libro X, es. ákramīm di KRAM-.

  1. Anomalie: tracce di una 3ª sg. attivo in -ait 28; di una finale di 1ª pl. in -ima (senza traccia di s), atārima di TṜ-; di una 3ª pl. medio in -iran (avādiran AS. di VAD-, cfr., ásthiran di STHĀ- nell’aoristo radicale); forse di una 2ª pl. attivo in -ita (avitá di AV-), secondo i doppioni -īta / -īṣṭa (348). Infine la forma difficile cániṣṭhat 54.
  2. Modificazioni fonetiche: aviḍḍhi 73.

Originariamente proprio delle radici “dissillabiche”, questo aoristo si è probabilmente sviluppato prima nei modi e davanti alla desinenza -ta; da qui l’inesistenza di alcune finali, che sono state rifatte analogicamente.

  1. Sulla falsa appartenenza qui di una forma come abhāriṣam, vedi 38.
  2. Agrabhīṣma e l’injonctif 2ª pl. grabhīṣṭa di GṚBH- sono gli unici esempi all’aoristo di un -ī- (diverso dall’ -ī delle finali -īs -īt); si ritrova nel nome verbale gṛbhītá-.

I modi comprendono congiuntivi con finale -as -at (mai -asi -ati), ottativi medi in -īmáhi (1ª pers. pl.), alcuni imperativi, soprattutto alla 1ª pers. du. attivo; una sola forma in -dhi, aviḍḍhí citato sopra.

Alcune radici hanno un affisso -siṣ- (per riduplicazione suffissale), ad esempio radici terminate in -ā- o -an-, come ayāsiṣam di YĀ-. La voce media, a grado pieno, è attestata fin dall’ottativo vaṃsiṣīya AS. di VAN- (mss vaṃś°). L’unica forma tonica è l’imperativo 2ª du. yāsiṣṭám.

347. F. Aoriste en -sa-. — Questo tipo raro di aoristo è usato in radici terminate con una occlusiva (inclusa h) — che quindi avrebbero realizzato difficilmente un aoristo atematico — e con vocalismo diverso da -a-. Il radicale è al grado ridotto; il tono, nelle rare forme attestati senza aumento, ricade sulla desinenza. Si tratta di un tentativo, rimasto incompiuto: diverse finali mancano, i modi sono appena rappresentati, così come la voce media. Esempio: adukṣat (e ádhukṣat 47) di DUH-, árukṣat 59.

Oltre a questo tipo di aoristo, il passaggio degli aoristi sigmatici alla tematizzazione è raro: si trova una 3ª du. attivo yakṣa-tām (I) di YAJ-, che non sarebbe opportuno considerare come un aoristo en -sa-; una 1ª sg. attivo °janiṣeyam (ottativo) KS. di JAN-. Sulla natura sicuramente secondaria degli imperativi del tipo neṣa parṣa, vedi 329.

348. Precativo. — Questa formazione a valore di ottativo somiglia, per struttura generale, a un ottativo di aoristo, talvolta radicale, talvolta sigmatico, ma caratterizzato dall’inserzione secondaria di un elemento -s- o -iṣ- che segue l’affisso modale.

Alla voce attiva, il movimento prende avvio dall’ottativo di aoristo radicale: si era costituita una 3ª sg. in -yās (tipo bhūyā́s di BHŪ-), al posto di bhūyāt (attestato solo in AS.), secondo le numerose finali di 3ª sg. dove il -t era scomparso foneticamente e dove c’era quindi identità con la 2ª sg. Su questa base si sono costruite alcune 1ª pl. in -yāsma (nella RS., solo kriyāsma di KṚ-), sg. in -yā́sam (nella RS., solo bhūyāsam di BHŪ-, nel Libro X).

Il fonismo radicale di kriyāsma (38) è simile a quello del passivo kriyáte; quanto al -e- radicale di 3ª sg. peyās di PA- 1, è conforme a quello dei nomi del tipo °peya- e altri, cfr. 31 n. fin.; stesso fenomeno all’ottativo pseudo-radical del tipo dheyām 340.

Alla voce media è attestata una finale 3ª sg. -īṣṭá, piuttosto rara (e, una volta, una 2ª sg. -īṣṭhā́s), costruita su un tema di aoristo sia radicale sia sigmatico. Il punto di partenza è nell’aoristo en -is- (siṣ-) dove si nota che il precativo ha sostituito, davanti alla desinenza in dentale, l’ottativo normale: l’obiettivo è stato stabilire in questa forma modale una finale analoga alla finale -iṣṭa prevalente all’indicativo corrispondente, quindi janiṣīṣṭa di JAN- sostituendo janṣīta, secondo l’indicativo ájaniṣṭa.

  1. Estensioni eccezionali all’aoristo tematico (videṣṭa AS. di VID- 2); al perfetto (sāsahīṣṭhās di SAH-).
  2. Nella 2ª pl. attivo yāsīṣṭa (I) di YĀ-, l’ -īs- “precativo” si è inserito nell’affisso aoristico -siṣ- (haplologia per yāsiṣīṣṭa).
  3. Forma aberrante di 1ª sg. medio di BHUJ-: bhukṣiṣīya MB. II 5 12.

349. Passivo. — L’espressione passiva ha una forma autonoma solo nel sistema del presente e, in modo molto parziale, dell’aoristo. Nel presente, si tratta semplicemente di un’adattamento (con desinenze necessariamente medie) del tipo in -ya- 328. Dotandosi di una nuova accentuazione sulla vocale tematica, il presente in -ya- tende verso l’uso passivo in un gruppo di forme dell’indicativo, del participio (naturalmente in -yámāna-), e, in modo accessorio, dell’imperativo. Già da prima, come abbiamo visto, si adattava, anche con l’accentuazione radicale, a fornire valori di stato e usi intransitivi. Il passaggio al passivo è compiuto là dove si è costituito, per una data radice, un altro presente che mantiene il senso “attivo”: páṣyati víḍhyati non sono passivi, essendo gli unici presenti di PAŚ- VYADH-, pūyate lo è, essendo formato in reazione rispetto a pávate punā́ti di PŪ-.

La regola non è assoluta: jī́yate (di JYĀ-) e kṣī́yante di KṢĪ- mantengono il tono radicale pur opponendosi a jinā́ti kṣiṇāti e avendo un valore più o meno passivo (jī́yate è vicino a hanyáte di HAN-). Inversamente, *mriyáte, con il tono suffissale (AS.), di MṚ-, non ha un uso passivo, ma solo intransitivo. Da ciò, il fluttuazione tonica mucyáte AS. ecc. / múcyate RS. di MUC- e alcuni altri; ma pácyate “matura” (processo spontaneo) si distingue da pacyáte “è in cottura” (processo indotto).

L’adattamento al passivo si accompagna a qualche particolarità fonica: allungamento di -i- -u- alla fine del radicale secondo 42, come in sūyáte di SU-; stesso allungamento di un -i- come grado ridotto dell’alternanza ā/i, dīyáte di DA-; soluzione in -ri- di - cfr. 33. Questi tratti non erano o erano appena attestati nei presenti secondo 328: in parte casualmente, in parte perché questi non ammettevano radici di ogni struttura.

Sulla base di presente, dadyámāna- di DĀ- (o testimonianza di una radice (dad- cfr. 318 n. 2), pṛchyámāna- di PṚŚ.

La formazione è in progresso.

350. In questo aoristo si è creata una desinenza speciale di 3ª sg. in -i, destinata all’uso “passivo”. -i è la forma ridotta della finale -e che si ha in diversi presenti medi e nei perfetti, alla 3ª sg. Il tema ha curiosamente il grado pieno, con tono radicale: un -a- in sillaba leggera può essere allungato secondo 44: ad esempio, ámodi di MUD-, ma ákāri di KṚ-. L’allungamento manca in ájani (e jani) di JAN- (accanto a jā́ni), il che può sembrare coincidere con il valore intransitivo che domina in questa forma (“è nato”, e persino “ha generato” II 34 2!).

Le forme senza augmento, preterite o ingiuntive, sono relativamente frequenti. La chiarezza della struttura è preservata nelle radici terminate in -ā- mediante l’inserimento di un -y- (308 n. 5).

Forma isolata: 3ª sg. atītape (aoristo reduplicato tematico) di TAP-.

La struttura del radicale avvicina l’aoristo en -i all’aoristo en -iṣ- (ákāri / ákārīt di KṚ-); infatti, occasionalmente il paradigma dell’aoristo en -i è completato dalle desinenze medie dell’aoristo en -iṣ-, così, accanto alla 3ª sg. ájani, si ha (con lo stesso -a- non allungato) 2ª sg. jániṣṭhās [3ª du. jániṣṭām] (e anche 3ª sg. ájaniṣṭa).

351. Futuro. — Questo modo è caratterizzato da un affisso tematico in -syá-, con il radicale al grado pieno. Esiste un doppione frequente in -iṣyá-, dove l’i “di collegamento” è linguisticamente giustificabile solo in una piccola parte dei casi, il che si spiega con il carattere “recente” di tutta la formazione: solo 15 temi nella RS. (soprattutto nelle parti recenti), ma già 30 temi nell’AS. In effetti, -iṣyá- nella RS. appare raramente se non dopo una semivocale o nasale, come saniṣyati di SAN-, kariṣyati di KṚ-. Talvolta -syá e -iṣyá- compaiono per lo stesso tema: (ā)vartsyánt- AS. / ánvartiṣye (cfr. 113) AS. di VṚT-.

Il futuro non è altro che un sistema di presente, semanticamente specializzato. Comprende, oltre all’indicativo e al participio, un solo congiuntivo (karuṣyā́[ḥ], non assolutamente sicuro, cfr. 191), un solo imperfetto (“condizionale”) (ábhariṣyat di BHṚ); le forme medie sono rare.

  1. Vocalismi irregolari: sū́ṣyant- (tono radicale, come il presente sū́te) di SŪ- (vocalismo come sasū́va); sākṣye AS. (sākṣe 69 mss) di SAH- (-ā- come le altre forme della radice); vṛṣcasyāmi (?) paipp. I 87 4.
  2. Modificazioni fonetiche: mekṣyā́mi AS. di MIH- (mss -ṣā́mi 69) secondo 59; bhantsyā́mi VS. di BANDH- e dhakṣyánt- di DAH- secondo 47; kraṃsyámāna- AS. (forma senza -i-, nonostante il carattere “dissillabico”, cfr. il verbale krāntá-) di KRAM-.

Non c’è un uso probabile del “futuro perifrastico” formato con un nome in -tṛ-, fino a un mantra molto recente TĀ. I 11 4, ovvero yajé yákṣi yáṣṭāhe ca (finale in -he, “medializzazione” del pronome [a]hám) di YAJ-, basato sul derivato nominale yáṣṭṛ-, vedi anche AB. VIII 15 2-3. Un passaggio come I 27 7 è sulla strada lontana che conduce a questo futuro.






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