sanscrito vedico

flessione del nome



IV. - IL NOME DEL NUMERO

294. Numerali cardinali da 1 a 10. - Questi sono aggettivi che, da “1” a “4”, hanno caratteristiche casuali e distinzioni di genere; poi, a partire da “5”, la distinzione di genere manca e alcune desinenze non sono notate. Il sostantivo correlato è in accordo; la costruzione di questo sostantivo come regime nel G. pl. è attestata, ma raramente, forse per influenza dei nomi delle decine.

“Uno”, éka-, flessione pronominale 292 (eccetto il neutro che è ékam).

Il pl. m. éke (f. ékās AS.; nt. nel semi-āmreḍita ékam-ekā śatā́) significa inizialmente “solo a loro”; si trova dall’AS. con valore indefinito “alcuni”. — Du. f. éke AS.

“Due”, dvá- (generalmente d(u)vá- 34), si flette naturalmente solo al duale, con desinenze indifferenziate dei temi in -a- (f. -ā-).

  1. La forma composita è dvi° (dopo tri°), eccetto a) in dvāpára-, composto di un tipo speciale “dove due (dadi) sono in surplus” (= *dvā́ párau); b) nei composti numerali additivi, tipo dvā́daśa- “dodici”. Dvi- è anche base di derivazione.
  2. Esiste una parola speciale per “entrambi”: ubhá- (du.), con il derivato ubháya- “l’uno e l’altro” (sg. o pl.; flessione 292).

“Tre”, trí- al m.-nt., flesso come un tema nominale in -i- (tono desinentale secondo 239 240 in tribhís triṣú trīnā́m). Ma il femminile è costruito su un tema sia allargato che semplificato, in tisr-, con flessione in -r non alternante, N. tisrás, ecc.; il G. è tisṝnā́m (trasferimento tonico secondo 240), cioè come il tipo pitṝnā́m (sulla grafia tisrnám, v. 2). Base di derivazione tri-; a volte tṛ- 299 (298).

“Quattro” è, ai m.-nt., un tema forte catvā́r- alternante con un tema debole catúr- (alternanza /u): quindi, N. m. catvā́ras Ac. m. catúras casi diretti nt. catvā́ri; il G. comune è caturṇā́m con una finale in -n- presa dalle forme numerali vicine. La forma composita e derivativa è catur°. Analogamente a trí-, il f. è in cátasr- (N. Ac. cátasras, G. non attestato, gli altri casi hanno il tono su r vocalizzato).

295. Da “5” a “10”, non c’è desinenza nei casi diretti, e anche negli altri casi ci sono tracce di forme senza flessione, es. páñca kṣitīnā́m (o: kṛṣṭíṣu) “dei (ai) cinque insediamenti” (RS.). I casi obliqui hanno una flessione conforme a quella dei temi nominali in -an-, tranne i G. che sono in -ānā́m [tono 240 d] come quelli dei temi in -a-; eccetto, infine, il numero “6” che ha una flessione radicale, N. ṣáṭ 148 I. ṣaḍbhís (tono secondo 239), G. non attestato.

Si ha quindi dáśa- “10”, che forma l’I. daśábhis (tono dopo saptábhis, dal tema saptá- ossitono “7”) G. daśānā́m. Allo stesso modo páñca- “5” e náva- “9”. Aṣṭá- “8” è ossitono come saptá- e inoltre forma i casi diretti come quelli del duale, aṣṭā́ e aṣṭaú (il tema nu aṣṭá non è confermato, ai N. Ac., per la RS. e dopo la RS. potrebbe essersi stabilito per analogia); stessa finale tematica lunga nell’I. aṣṭābhís così come in composizione, dove tuttavia la finale breve appare dall’AS.

296. Decine. - I nomi delle decine sono sostantivi femminili (es. “una ventina, ecc.”), quindi in principio singolari, con regime in G., come in pañcāśátam áśvānām V 18 5 “50 cavalli”. Tuttavia, l’apposizione del sostantivo correlato è più frequente, come in catvāriṃśátā háiribhiḥ II 18 5 “con 40 destrieri”; ciò comporta, per una sorta di attrazione, l’eventuale pluralizzazione del nome numerico; inversamente (raramente), la riduzione al singolare del nome apposto.

Si riscontrano tracce di Ac. (sg.) senza desinenza, quando il sostantivo apposto è un neutro: triṃśát padā́ VI 59 6 “30 passi”. Si ha anche l’Ac. navatím (“90”) — al posto di navati — in funzione di I. o di G.

Le decine sono costruite su un nome dell’unità combinato con l’elemento -śát- o śatí- (apparentato al nome dáśa-): viṃśatí- “20” (su una particella ví°, doppio di dví”; viṃśát- come variante ad VS. XXVII 33?); triṃśát- “30”, catvāriṃśát- “40”, pañcāśát- “50”: si noti la nasale posticcia, di interpretazione incerta. A partire da “60”, la lingua utilizza un suffisso “collettivo” -tí- 204 (cf. 205), ovvero ṣaṣṭí- saptatí- aśītí- (56) navatí-.

“100” è un sostantivo neutro, śatám. Così sahásram “1000”. Entrambi con regime in G. o apposizione (occasionalmente anche come aggettivo derivato in accordo con il n. di numero, gávyam… śatám VIII 21 10 “cento mucche”).

Si riscontra ancora, per attrazione, la pluralizzazione del n. di numero; inversamente (raramente), la riduzione al singolare del nome apposto (rāyé sahásrāya “con mille [forme di] ricchezze”); infine la fissazione ai casi diretti, śatám ūtíbhiḥ “con cento aiuti” (da cui forse _śatámūti-_159).

Infine, i mantra dispongono di diversi nomi speciali per numeri elevati, da ayúta- “10000” nella RS., con i numeri superiori attestati in AS. e soprattutto in YV., es. (árbuda- (nt.) VS. “dieci milioni”).

297. Numeri intermedi. - I numeri da “11” a “19” si compongono con il nome dell’unità seguito da °daśa-, l’unità apparendo sia in N. (m.) dvā́daśa- “12” tráyodaśa- “13”, sia in forma tematica, es. ṣóḍaśa- VS. “16” (146); l’allungamento in ékādaśa- “11” sembra dovuto a dvā́°. Il tono passa all’elemento finale nei casi obliqui, che però sono attestati solo dopo la RS.

Da “21” a “29”, “31” a “39”, ecc., si trovano sia il procedimento compositivo (cátustriṃśat “34”), sia la parafrasi, di solito sottolineata da ca(…ca). Eccezionalmente la parafrasi si trova anche per la serie “11” a “19”. Qui e là compaiono altre combinazioni, come la sottrazione in ekonaviṃśatí- (AS. XIX; ūná- in questo uso non appare prima) “19”, propriamente “20 meno uno”; la moltiplicazione in dáśa vṛtrā́ni… sahásrāṇi 1 53 6 “dieci mila vṛtra” o (in forma di bahuvrīhi) triśatā́ḥ,… śaṅkávaḥ, I 164 48 “300 pioli”; a volte anche il procedimento compositivo si trova, con valore moltiplicativo, a livello delle unità, triṣaptá- “tre volte 7” (finale tematizzata).

  1. Alcuni numeri infatti, in particolare śatá-, si usano come elementi finali con finale tematizzata (come gli ordinali) e ossitonesi, quindi in funzione di bahuvrīhi, altro es. pañcadaśā́ny ukthā́ X 414 8 “i 15 uktha”, propriamente “gli u° costituiti da 15”; un caso estremo è tribhír ekādaśaiḥ I 34 11 “con tre dozzine”.
  2. Moltiplicazione tramite un avverbio numerale: dvíḥ páñca “due volte 5”.
  3. Tipo di giustapposizione diversificata nei numeri lunghi: trī́ṇi śatā́ trī́ sahásrāṇi… triṃśác ca devā́ náva ca III 9 9 “3339 deva”.
  4. Āmredita di n. di numero: éka-ekaḥ “uno per uno” (con fissazione dell’elemento anteriore attestata dall’I. f. ékaikayā AS.).
  5. In composizione nominale, tanto i nomi di numero figurano volentieri come elementi antecedenti (cfr. in particolare 179), quanto appaiono poco in seconda posizione: paraḥsahasrá- AS. “più di 1000”; in bahuvrīhi, sáṃsahasra- “dotato di 1000”.

298. Derivati numerici. - Lasciando da parte i derivati avverbiali, che sono i più significativi (389 sq.), i derivati numerici sono i seguenti: aggettivi moltiplicativi come (f. -ī́-) trayá- (214) “triplo”, da cui dvayá- “doppio” (anche, al neutro, “stato di essere doppio”, da cui “duplicità”). Stesso significato con -taya- dáśataya- “decuplo, contenente 10 parti” (f. -ī-). Isolatamente, cáturvaya- “quadruplo”.

Sostantivi collettivi, di tipo diverso: trétā- VS. “tiro di dadi dove tre (rimangono)” paṅktí- (stesso suffisso -ti- che 296) “serie di 5” da cui “gruppo” sāptá- Val. AS. VS. “sette” daśát- TB. “decade” (daśátam nt. Kh. p. 128).

Dvitá- e tritá- (tritá- AS. ekatá- VS.) devono aver designato originariamente il “secondo” e il “terzo”, come ordini rudimentali.

  1. Altri derivati sono di tipo nominale: diminutivi come dvaké e trikā́ (X), accompagnando nomi in -ka-; áṣṭakā- AS. come derivato tecnico (offerta oblativa all’“ottavo” giorno); su ekākín-, v. 230 ; śatín- e analoghi “consistente in 100, possedendo o procurando 100”. Ma gli altri processi di derivazione sono rari o inusuali.

Infine, esistono composti moltiplicativi vari, dove il secondo membro ha valore di suffisso: dáśabhuji- (I) “decuplo” tribhúj- AS. “triplo” trivṛ́t- o °várt(t)yu- “triplo” (e forme analoghe in °dhā́tu-, ecc. 206); infine daśagvín- “consistente in 10 o in serie di 10” (accanto a śatín-) (Navagva, Daśagva come nomi di clan).

299. Ordinali. - Servono essenzialmente a “completare”, cioè a segnalare grammaticalmente l’elemento che completa una serie enumerativa (esplicita o implicita), es. dvaú saṃniṣádya yán mantráyete rā́jā tád veda váruṇas tṛtī́yaḥ AS. IV 16 2 “ciò che due deliberano insieme, Varuṇa re lo sa in terza persona”, o addirittura dáśāsyāṃ putrā́n ā́ dhehipátim ekādaśáṃ kṛdhi X 85 45 “conferisci a lui dieci figli, rendi tuo marito l’undicesimo”. Secondariamente, l’ordinale serve a indicare il rango, per qualsiasi elemento della serie, e può capitare che, almeno nelle forme composte, il senso si avvicini a quello di un cardinale, cf. 297 e n. 1.

I temi sono derivati dai cardinali (tranne per “primo”, che non è realmente un n. di numero); i suffissi sono tematici, con il femminile in -ā- per i primi tre della serie (e per turī́ya-), in -ī- per tutti gli altri; portano quasi sempre il tono e assomigliano a suffissi sia possessivi sia “superlativi” (cf. 220).

  1. Sulle tracce di flessione pronominale (prathamásyās AS. VS.), v. 292 n.
  2. I suffissi ordinali si estendono occasionalmente a pronomi di senso comparabile, così katithá- (X) “il quanti” (con cid) da cui il suffisso -(t)itha- post-mantrico.

“Primo” si forma sulla particella prá con doppio suffisso: prathamá-, propriamente “che è avanti” (cfr. anche pū́rva- “primo [di due]”). “Secondo” dvitī́ya- (isolatamente dityaa 68): “terzo” tṛtī́ya- con stesso suffisso (tema tri- abbreviato in tṛ). Da “quarto” a “settimo”, prevale il suffisso -tha-; caturthá- AS. YV. (con un doppione turī́ya- nella RS., basato su una base ridotta; turya° 116); pañcathá- (apparentemente post-mantrico) e pañcamá- AS. VS. (isolatamente paṣṭha° 100: incerto pakthá- 59); ṣaṣṭhá- AS. VS.; saptátha- (anche saptamá- YV.). A partire da “ottavo”, il suffisso è -má-: aṣṭamá-, ecc. (stessa forma e stesso accento dei “superlativi” 220).

300. Oltre al “decimo”, si trovano: o il suffisso -tamá- (tono diverso dal superlativo 220), come in śatatamá- “centesimo”; oppure, di solito, il passaggio alla flessione tematica: ekādaśá- “undicesimo”, ecc. La stessa finale -á- si ottiene per i nomi delle decine, con la caduta della consonante finale o penultima, come in catvāriṃśá- (unico es. RS.) “quarantesimo” e, dal VS., nei numeri intermedi, come trayovimsá- “ventitreesimo”.

  1. Un impiego specializzato dell’ordinale — la designazione delle frazioni — è illustrato nell’AS. da túrīya- “quarto” (con cambio di tono!); senza cambio di tono, ṣoḍaśâ- “1/6”.
  2. Sfumatura distributiva, cf. pañcadaśá- citato in 297 n. -I.
  3. Gli usi come membri finali sono rari: mánaḥṣaṣṭhāni AS. (XIX) “(i sensi) con il senso interno come sesto” (secondo 179 n.); vitṛtīyá- AS. “(febbre) diversa dalla terza” (secondo 174, ma con un’accezione privativa di vi° che non è attestata nei mantra antichi).






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