Marcello Meli - kālarātri


kālarātri

Ed eccoci alla settima manifestazione di Durgā a cui il Prof. Marcello Meli ha dedicato un inno.

Andrò ad analizzarlo anche alla luce del capitolo di Renou che ho appena pubblicato, che tratta soprattutto dei diversi samāsa (composti).

कालरात्रिसुरी नील-
वर्णरुद्रकरूपिणी।
शनिस्तस्याः प्रियः प्रोत्तः
घोरमुख्या असृग्रतम्॥



kālarātrisurī nīla-
varṇarudrakarūpiṇī |
śanistasyāḥ priyaḥ prottaḥ
ghoramukhyā asṛgratam ||


Traduzione dell’autore
La dea Kālarātri
terribile è d’aspetto
blu profondo,
caro le è Saturno
e predilige il sangue,
lei che ha orrido volto.

Traduzione parola per parola
La dea (surī) Kālarātri (kālarātri),
di colore blu (nīlavarṇa),
in forma (karūpiṇī) (terribile e feroce) di Rudra (rudra).
Saturno (śani) [è] molto (prottaḥ) caro (priyaḥ) a lei (tasyāḥ),
dal viso feroce (ghoramukhyā) e che beve sangue (asṛgratam).

kālarātri

Kālarātri:

Kālarātri è una delle nove forme della dea Durgā, conosciute come Navadurgā. Viene spesso descritta con un aspetto feroce e scuro, simboleggiando il potere di distruggere le tenebre. Ha quattro mani, di cui due solitamente in pose benedicenti e protettive, e le altre due che tengono un falcetto, un cappio o un tridente. La sua cavalcatura è tradizionalmente un asino. Gli asini sono noti per la loro resistenza e capacità di portare pesi in condizioni difficili. La dea Kālarātri che cavalca un asino potrebbe simboleggiare la sua resistenza di fronte agli ostacoli e la sua determinazione implacabile nel combattere il male e proteggere i suoi devoti. L’asino potrebbe essere visto come un simbolo di ignoranza o oscurità. La dea che cavalca un asino quindi potrebbe rappresentare la vittoria della saggezza e della luce divina sull’ignoranza. L’aspetto minaccioso rappresenta la sua capacità di distruggere l’oscurità e il male, proteggendo i devoti dalle influenze negative e dal dolore. È considerata una potente protettrice contro i demoni, i fantasmi, gli spiriti maligni e le influenze negative. Secondo alcune interpretazioni, Kālarātri ha una connessione speciale con il pianeta Saturno e può ridurre gli effetti negativi associati a questo pianeta. Rappresenta la distruzione dell’ignoranza e delle tenebre, portando luce e saggezza ai suoi devoti. Come una delle forme più feroci di Durgā, simboleggia la forza necessaria per affrontare e superare gli ostacoli della vita. La sua figura è emblematica della capacità di affrontare e trasformare il negativo in positivo, offrendo protezione e guida spirituale ai devoti.

Descrizione dell’immagine allegata:

Kālarātri ha la pelle di colore blu scuro, quattro braccia e occhi spalancati che trasmettono intensità, potere e terrore. Nelle mani di sinistra tiene un falcetto e (forse) un tridente, simboli di distruzione e potere. La mano superiore destra è in posizione di abhaya mudrā, un gesto di rassicurazione e benedizione che comunica protezione, pace e l’assenza di paura. La mano inferiore destra è nella posizione di varada mudrā, che è un gesto di offerta e benedizione. Questo gesto simboleggia la concessione di favori, clemenza o generosità. La dea è vestita con un sari arancione drappeggiato, adornato con gioielli, che riflettono il suo status divino. Una pelliccia di tigre circonda la sua vita, aggiungendo al suo aspetto potere e ferocia. Potrebbe simboleggiare la sua connessione con la natura selvaggia e la sua capacità di dominare le forze primitive e caotiche. La sua chioma è lunga e selvaggia, e si espande dietro di lei come un mantello. La figura cavalca un asino, che è il suo vāhana, rappresentato mentre si muove energicamente, suggerendo movimento e velocità. L’asino è ritratto con dettaglio e realismo, dal muso fino alle zoccole, che sono adornate con campanellini. Lo sfondo dell’immagine è relativamente semplice, con un cielo che sfuma dall’arancione al giallo, evocando l’immagine di un tramonto o di un’alba.

In basso, al centro, vi è un emblema del sole, che potrebbe rappresentare l’associazione della dea con la luce divina o l’energia cosmica.

Complessivamente, l’immagine è ricca di simbolismo e riflette i temi della potenza divina, della protezione e della distruzione, tutti attributi associati a Kālarātri nella tradizione indù.

Come per gli altri inni del Prof. Meli dedicati alla navadurgā, anche il metro di questo dedicato a Kālarātri è anuṣṭhubh.
Il metro anuṣṭhubh è uno dei più antichi e diffusi della poesia sanscrita. Consiste di quattro righe (pāda) di otto sillabe.

kālarātrisurī, sf. samāsa, nom. sg.la dea (surī) kālarātri. surī è una forma di sura, che significa “dio” o “divinità”, al femminile, quindi surī. La parola è un termine rispettoso o venerabile per riferirsi a una divinità, simile a devī.
nīlavarṇa sm., samāsa, nom. sg.,di colore (varṇa) blu (nīla)
rudrakarūpiṇī, sf. samāsa, sf. nom. sg. che ha la forma (terrifica) di rudra. La radice del termine karūpiṇī è rūpa, “forma” o “aspetto”. Il suffisso kara viene aggiunto alla radice per creare un aggettivo che significa “fare” o “rendere”. Quindi rūpakara significa “che fa la forma” o “che dà forma”. L’ulteriore suffisso ṇī è aggiunto per formare un agg. f.
śani sm. nom. sg. pianeta Saturno
tasyāḥ, pron. gen. sg. f., di lei (si riferisce a Kālarātri)
priyaḥ, agg. nom. sg. m. di priya-, caro, amato (si riferisce a Saturno)
prottaḥ, nom. sg. m. riferito a priyaḥ con significato di “molto”
ghoramukhyā sf. samāsa, nom. sg. dal viso (mukhyā) feroce (gora)
asṛgratam-, è formata dalla radice asṛj-, sangue, e il suffisso superlativo tam, utilizzato per indicare “il più” o “il massimo” in qualcosa, in questo caso letteralmente significa “il più sanguinoso” o “il massimo bevitore di sangue”.

I samāsa (nomi composti):

kālarātri e kālarātrisurī - dvandva/tatpuruṣa

Il nome stesso della dea kālarātri (o kālarātrī) può essere considerato un composto. kāla: significa “tempo” (kālá-) o “nero” (kāla-). In molti contesti, kāla si riferisce anche a concetti associati con il tempo, come la morte o il destino. rātri, rātrī: significa “notte”. Quando le due parole si combinano in kālarātri, il significato complessivo può essere interpretato come “la Notte del Tempo” o “la Notte Nera”. Questo nome evoca immagini di oscurità e forza primordiale, riflettendo gli aspetti della dea come una figura potente e formidabile. Il tipo specifico di composto inquesto caso è sia un dvandva sia un tatpuruṣa, a seconda di come si interpreta la relazione tra le due parole. Se interpretato come un tatpuruṣa, kāla (tempo/nero) qualifica rātri (notte), indicando una notte caratterizzata dall’elemento kāla. Se visto come un dvandva, le due parole sarebbero co-ordinate, indicando “tempo e notte” insieme, ma questa interpretazione è meno comune per questo nome particolare. Ma è interessante sottolinearlo per mostrare la differenza fra i due tipi di composto.

Se invece consideriamo kālarātri come il nome della Dea ecco che con surī abbiamo un altro composto che può essere classificato come un tatpuruṣa. Nei composti tatpuruṣa, il primo termine è in relazione con il secondo, e il significato complessivo del composto è determinato dal secondo termine. In questo caso kālarātri è il primo termine, è il nome della dea Durgā in una delle sue forme più feroci. surī è il secondo termine. Mentre “sura” generalmente significa “divinità” o “dio”, surī può essere interpretato come un termine rispettoso o venerativo. Il composto può essere interpretato come “Kālarātri, la venerabile divinità” o “la rispettata Kālarātri”, indicando un senso di venerazione o rispetto per questa forma particolare della dea.

nīlavarṇa - tatpuruṣa

Quindi nīlavarṇa è un altro esempio di composto tatpuruṣa, dove nīla (blu) qualifica varṇa (colore). Il composto insieme significa “colore blu”. Il secondo termine, varṇa, determina il genere, il numero e il caso del composto.

rudrakarūpiṇī - tatpuruṣa karmadhāraya

Il composto rudrakarūpiṇī è un esempio di tatpuruṣa karmadhāraya. Nel composto karmadhāraya, che è un sottotipo di tatpuruṣa, il primo termine qualifica il secondo termine, e entrambi i termini sono essenziali per il significato complessivo. rudra è un nome di śiva, che rappresenta un aspetto di potenza e distruzione. karūpiṇī deriva dalla radice rūpa, forma, aspetto; karūpiṇī significa “avente forma” o “che assume la forma”.

Nel composto, rudra funziona come un qualificativo per karūpiṇī, indicando “colei che ha la forma di rudra” o “che assume l’aspetto di rudra. Quindi, rudrakarūpiṇī si riferisce a una divinità o a un entità che assume un aspetto simile a quello di Rudra, che in questo contesto è associato alla forma feroce e terribile.

In sintesi, la principale differenza fra il tatpuruṣa “classico” e il tatpuruṣa karmadhāraya sta nel modo in cui il primo termine si relaziona al secondo: in un tatpuruṣa classico, il primo termine è in una relazione dipendente dal secondo, mentre in un karmadhāraya, il primo termine funziona come un qualificativo diretto del secondo.

ghoramukhyā - tatpuruṣa karmadhāraya

Anche questo è probabilmente un composto tatpuruṣa-karmadhāraya. Come ut supra nel composto karmadhāraya, il primo termine è un aggettivo che qualifica il secondo termine. Qui ghora (feroce, terribile) funziona come qualificatore, e mukhyā (capo, condottiero) è il termine qualificato. Il samāsa significa quindi “capo feroce” o “condottiero terribile”, indicando una figura che è prominente nella ferocia o terribilità. Questo è un classico esempio di un composto karmadhāraya in cui un aggettivo precede e modifica direttamente un sostantivo.

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