rudra namakam 1 - ṛk 5



śivena vacasā tvā giriśācchā vadāmasi |
| śivena | vacasā | tvā | giriśa | acchāḥ | vadāmasi |
| propizia | per mezzo di parola | tuo | che abiti le montagne | senza ombra | noi parliamo |

oh abitante delle montagne (giriśhanta) , attraverso parola (vacasā) propizia (śivena) e senza ombra (acchāḥ) noi parliamo (vadāmasi)
O Tu, che risiedi nelle sacre montagne, noi ti invochiamo con parole sincere e pure, |

yathā naḥ sarvamijjagadayakṣmagṁ sumanā , asat ||5||
| yathā | naḥ | sarvam | it | jagat | ayakṣmam |sumanā|asat |
| affinché | nostro | tutto | proprio | mondo | non malato |benevolo|che sia così |

affinché (yathā) [tu che sei] benevolo (sumanā), tutto (sarvam) il nostro (naḥ) mondo (jagat) [sia] non malato (ayakṣmam), che sia così (asat)
 … affinché tu, nella tua benevolenza, renda il nostro mondo esente da sofferenze e mali. Che sia così. |

traduzione di Rajagopala Aiyar O Sovrano del Monte Kailāsa (o dei veda), invochiamo la tua presenza mediante espressioni di benevolenza. Auspichiamo che, ogni giorno, l'intero mondo possa essere preservato da ogni male e discordia, e che possa prosperare in uno stato di amicizia e armonia.

esplorando i commentari
1. mahābhārata
Il mahābhārata narra l'epica distruzione delle tre città, tripura, ad opera di Śiva, il Signore del Cosmo. Questa saga ebbe inizio con la caduta del demone tāraka, eliminato da kārtikeya, il figlio di Śiva. Tuttavia, i tre figli di tāraka, in seguito, guadagnarono il favore di Brahmā tramite intense penitenze, ottenendo una benedizione straordinaria: la capacità di trasformarsi in tre maestose città di ferro, argento e oro.
Dotati di queste abilità sovrumane, i demoni imperversarono, causando dolore e sofferenza agli dèi e agli uomini retti.
Incapaci di fermare il loro assalto, gli dèi supplicarono Śiva, il signore supremo, di intervenire e porre fine al regno del terrore imposto dai demoni. Con magnanimità divina, Śiva accettò di intervenire, unendo la sua forza a quella degli altri dèi, divenendo così mahādeva, il grande Dio.
Con Viṣṇu come sua freccia infuocata, Śiva si scagliò contro le tre città, riducendole in cenere insieme ai demoni malvagi che le abitavano. Questo atto epico non solo sventò la minaccia delle tre città, ma simboleggiò anche la distruzione dei tre corpi dell'ignoranza umana: il corpo causale, il corpo sottile e quello grossolano. Śiva, con la sua potenza divina, cancellò l'oscurità dell'ignoranza, aprendo la strada alla luce dell'illuminazione spirituale.

2. bhaṭṭabhāskara
Il ṛṣi di questo ṛk è o Gautama o Godhūm, la devatā è Rudra, e il metro è anuṣṭubh.
Il dhyāna śloka di questo mantra è menzionato da Bhaṭṭa Bhāskara:

sāṃgrāmikeṇa vapuṣā pravirājamānaṁ dṛpyatpuratrayatṛṇāśani mandahāsaṃ |
daityāndidhakṣumacaleśvaracāpapāṇiṁ dhyāyet purārimamarau gha rathādhirūḍhaṃ ||

Si dovrebbe meditare (dhyāyet) su Colui che splende magnificamente (pravirājamānam) attraverso una forma (vapuṣā) da guerriero (sāṃgrāmikeṇa), il cui lieve sorriso (mandahāsam) è il fulmine (aśanim) che distrugge facilmente l'arroganza (dṛpyatṛṇa) delle tre città (puratraya), che tiene nelle sue mani (pāṇiṁ) l'arco (cāpa) per bruciare (didhakṣum) i demoni (daityān), Signore della montagna (acaleśvara), salito (adhirūḍham) sul carro (ratha) tra degli dei immortali (amara), nemico (arim) che colpisce (gham) le tre città degli asura (pura).[nota grammaticale]
he giriśa tvāṁ prāptuṁ maṅgalena vacanena vayaṁ stumaḥ |
yathā asmākaṁ sarvaṁ jagad rogarahitaṁ saumanasaṁ bhavati tathā kuru|

O signore delle montagne (giriśa), noi (vayam) ti (tvām) lodiamo (stumaḥ) con parole (vacanena) di buon auspicio (maṅgalena) per raggiungerti (prāptum). Affinché (yathā) tu possa rendere (kuru) tutto (sarvam) il nostro (asmākam) mondo (jagat) libero da malattie (rogarahitam) e pieno di felicità (saumanasam), sia così (tathā).
tvadīyaguṇasaṃkīrtanaparatayā kalyāṇakareṇa tava prītikareṇa vā stotralakṣaṇena vacanena |
Con dedizione (paratayā) alla lode (saṃkīrtana) delle tue (tvadīya) virtù (guṇa), attraverso parole (vācanena) caratterizzate (lakṣaṇena) da un inno (stotra), che sono benefiche (kalyāṇakareṇa) e piacevoli (prītikareṇa) a te (tava).
aśivena hi vacanena devaḥ krudhyet ।
Infatti (hi), con parole (vacanena) malevole (aśivena), il dio (devaḥ) si adirerebbe (krudhyet).
mā tvā rudra cukrudhāmā namobhirmā duṣṭutī vṛṣabha mā sahūtī ।
unno vīrān arpaya bheṣajebhirbhiṣaktamaṃ tvā bhiṣajāṃ śṛṇomi ॥

O Rudra (rudra), possiamo noi non provocare la tua ira (non renderti arrabbiato, cukrudhāmā) con riverenze [inadeguate] (namobhiḥ) o con lodi erronee (duṣṭutī), né invocandoti insieme [ad altri dei minori] (sahūtī).
Ti preghiamo di concederci (concedici, arpaya) figli valorosi (vīrān) grazie ai tuoi rimedi guaritori (bheṣajebhiḥ), poiché riconosciamo (sentiamo, śṛṇomi) che sei il più eccelso (il più importante, tamam) tra i guaritori (medici, bhiṣajām), o Donatore supremo (Donatore di doni, bhiṣaktamaṃ)!

3. sāyaṇācārya bhāṣyam
girau kailāse śete tiṣṭhatīti giriśo he giriśa tvāmacca prāptuṃ śivena maṅgalena stutirūpeṇa vacasā vadāmasi vayaṃ prārthayāmahe । yathā yena prakāreṇa no'smadīyaṃ sarvamijjagat । icchabdo'vadhāraṇe yathā sarvamapi manuṣyapaśvādikaṃ jaṅgamajātamayakṣmaṃ rogarahitaṃ sumanā asatsaumanasyopetaṃ bhavati tathā kuru ।
Giriśa (giriśa) è colui che risiede (śete tiṣṭhati) nel Monte Kailāsa (kailāse). O Giriśa (he giriśa)! Per raggiungerti (tvām prāptum), noi (vayam) pronunciamo (vadāmasi) parole (vacasā) di buon auspicio (śivena maṅgalena) sotto forma (rūpeṇa) di un inno di lode (stuti), e preghiamo (prārthayāmahe).
Affinché (yathā), in qualsiasi modo (yena prakāreṇa), questo nostro (asmadīyaṃ) intero mondo (sarvam it jagat, dove it indica 'questo'), compreso (avadhāraṇe) di tutti gli esseri umani e animali (manuṣya paśu) eccetera(ādikaṃ), gli esseri viventi (jaṅgamajātam), possa diventare (bhavati) così (tathā) libero da malattie (rogarahitaṃ) e pieno di gioia (sumanā) e benevolenza (saumanasyopetaṃ), così sia fatto (kuru).


4. yāskācārya
Secondo acchābherāptumiti del nirukta di yāskācārya, la parola accha(ā) che appare negli śruti ha il significato di āptum, ovvero "raggiungere".[nota]
5. Rajagopala Aiyar
Nei ṛk 2 e 3, si è cercato di eliminare l'indesiderabile e di ottenere il desiderato attraverso il namaskāra, l'atto di prostrazione descritto nel ṛk 1. Gli stessi fini vengono perseguiti in questo ṛk tramite lo stuti, ovvero la lode: si auspica un linguaggio dolce e sacro, adatto per esaltare l'Altissimo, e si invoca un mondo esente da sofferenze, pervaso di pace e armonia.
Giriśa:
(a) È Colui che risiede sul monte Kailāsa.
(b) Il Sovrano del monte Kailāsa o delle nuvole; il Signore del discorso, sia profano che vedico; il Custode del praṇava oṃkāra, come delineato da Bhāskara.
(c) Una narrazione vedica racconta di quando Indra, riflettendo sulle parole dei veda, decise di comprenderne prima il testo e poi il significato. Per illustrargli l'inutilità del suo intento, Dio gli mostrò tre montagne, simboleggianti i tre veda, affermando che, per quanto lunga, la sua vita non sarebbe mai bastata a padroneggiarne il contenuto. Di fronte a ciò, Indra rinunciò al suo progetto, rendendo evidente la presenza divina nelle tre montagne dei veda.
śivena vācasa - Con parole benigne. Secondo il bhāgavatam, solo le parole che lodano Śiva, il più benevolo, sono considerate śivam, ovvero benefiche. Questo śiva vācasa, discorso sacro e propizio, è un dono che Dio riserva agli eletti, come i ṛṣi dei veda, e ai suoi devoti, quali Māṇikkavācakar [3], gli Āḷvār [4] e i Nāyaṇār [5].
"Fa' che la mia lode sia così dolce e toccante da commuoverti, indurti a volgere lo sguardo verso di me e benedirmi con il tuo sguardo di grazia", implora Māṇikkavācakar.
Bhāskara avverte: "Con parole aśiva, Rudra si adira". Egli cita il Ṛg veda Rudram, che recita: "Signore Rudra! Non vogliamo scatenare la tua ira con i nostri omaggi errati o con lodi inadeguate o mescolate a quelle di altri". Pertanto, una lode a Rudra deve essere appropriata, ponderata e rivolta esclusivamente a Lui. Śaṅkara aggiunge: "Come anche le acque inquinate delle strade e dei canali, entrando nel Gange, acquistano purezza e santità, così le mie parole, per quanto umili, diventano benigne quando dirette a te, Signore Śiva".
Accha: (a) Secondo Sāyaṇa, significa raggiungere o ottenere te, come interpretato nel Nirukti vedico [v. nota 2] . (b) Per Bhāskara, è un avverbio che denota 'preminentemente, soprattutto, o direttamente'. Śaṅkara lo interpreta come un vocativo che significa "Tu puro e sacro", collegandolo all'analogia dell'acqua sporca che si purifica nel Gange.
Yathānaha - I commentatori offrono diverse interpretazioni di questa linea: (a) Sāyaṇa: In quale modo i nostri uomini (dipendenti e parenti), bestiame e beni mobili possano vivere liberi da mali, ben disposti e amichevoli, così ordina. (b) Bhāskara: Ti lodiamo affinché tutto ciò che è in relazione con noi - figli, bestiame, beni mobili e immobili - sia esente da mali e viva in amicizia. Lodiamo affinché ciò avvenga in questo modo. (c) A. Śaṅkara: Ti lodiamo con parole benigne. La natura della nostra lode dovrebbe garantire che tutti i nostri cari, come figli e bestiame, siano sani e felici. (d) Il mio punto di vista: Non è necessario limitare il significato al proprio ristretto ambito di relazioni e beni. Si può adottare un significato più ampio e letterale, simile a quello attribuito al Gāyatrī e ad altre grandi mantra: "Che il nostro intero mondo sia libero da mali e miserie, e che tutti gli esseri umani e le altre creature vivano in buona disposizione e amore reciproco".


NOTE DEL CURATORE:
  1. Nota grammaticale al dhyāna śloka di Bhaṭṭa Bhāskara:
    dhyāyet: vb. cl. 1, 3ª p. sg. ott. pres. P. di √dhyai-, pensare a, immaginare, contemplare, meditare su, richiamare alla mente, rammentare;
    pravirājamānam è una forma verbale participiale del verbo "virāj", che assume cioè funzioni e caratteristiche di un aggettivo, che significa "splendere", "brillare" o "risplendere". Il prefisso "pra-" aggiunge un senso di intensità o eccellenza, mentre il suffisso "-māna" indica un participio presente, che descrive un'azione che sta avvenendo al momento. Inoltre, il suffisso "māna" indica che il participio è in forma nominale neutra o maschile singolare e si accorda in caso, genere e numero con il sostantivo a cui si riferisce. Nella sua forma, "pravirājamānam" non è un composto sanscrito nel senso tradizionale dei composti nominali (samāsa), ma piuttosto una forma verbale derivata che funziona come aggettivo o sostantivo, a seconda del contesto, per descrivere qualcuno o qualcosa che sta brillantemente risplendendo o emanando luce in modo prominente al momento della descrizione.
    vapuṣā agg. str. di vapus- che ha una forma o una bellissima forma, incarnato, di bell’aspetto, meraviglioso (RV); sn. 1. forma, figura; 2. bellissima forma, aspetto meraviglioso, bellezza (RV);
    sāṃgrāmikeṇa, agg. m. str. di sāṃgrāmika, relativo alla guerra, bellico, marziale;
    mandahāsa agg. acc. m., che ride gentilmente, che sorride; avv. (am) con sorriso gentile; sm. risata gentile, sorriso.
    aśanim sf. acc. di aśani- 1. pietra da lancio (RV); 2. fulmine (RV);
    dṛpyatpuratrayatṛṇāśani: (composto da)
    dṛpyat, che è orgoglioso o arrogante, indicando qui qualcosa che è gonfio d'orgoglio o forse distruttivo,
    pura-traya le tre (traya) città (pura),
    tṛṇa, sn. sm. (ifc. sf. a) erba, erba aromatica, ogni pianta graminacea, filo d’erba, paglia (spesso simbolo di esiguità e inutilità), (RV); qui metaforicamente per "come nulla", indicando la facilità di distruzione),
    aśani (fulmine),
    Quindi, "dṛpyatpuratrayatṛṇāśani" descrive il fulmine (āśani) che distrugge facilmente (tṛṇa, come se fossero erba) le tre città (puratraya) gonfie d'orgoglio (dṛpyat). In questo contesto, "dṛpyatpuratrayatṛṇāśani" sottolinea la potenza distruttiva del fulmine contro l'orgoglio delle tre città, simboleggiando la distruzione di ostacoli o malvagità con facilità e potenza.
    pāṇim sm. acc. sg. mano (spesso ifc. "che tiene in mano”)
    cāpa sm. sn. 1. arco;
    acaleśvara
    acala significa "immobile", "inamovibile", o "fermo". Questo termine viene spesso utilizzato per descrivere montagne o per indicare stabilità e solidità. "acala" può riferirsi a qualità divine associate alla fermezza, all'immobilità o alla permanenza. Īśvara significa "signore", "padrone", o "sovrano". Īśvara è spesso utilizzato per riferirsi al Supremo o a una particolare divinità che presiede aspetti universali o poteri creativi, conservativi, e distruttivi. Quindi, "acaleśvara" potrebbe essere interpretato come "Il Signore delle montagne", suggerendo un'entità divina o un aspetto di Dio che incarna la stabilità, l'immobilità, o la solidità eterna. È un epiteto di Rudra.
    didhakṣum deriva dalla radice verbale "dah", "bruciare". La forma "didhakṣum" è una forma desiderativa del verbo, indicando un desiderio o un'intenzione di bruciare. In sanscrito, le forme desiderative di un verbo spesso esprimono l'intenzione, il desiderio o la volontà di compiere l'azione indicata dalla radice verbale.
    daityān, acc. pl. sm. di daitya- 'demoni' o 'nemici degli dei', spesso riferito ai figli di Diti, noti per essere avversari degli dei (deva) nella mitologia indù.
    adhirūḍham agg. m. di adhirūḍha, asceso, salito.
    gharathādhirūḍhaṃ si compone di due parti principali: "gharatha" (घरथ) che significa 'carro' o 'veicolo', e "adhirūḍhaṃ" che deriva dalla radice "ruh" con il prefisso "adhi-", che significa 'salire su', 'montare'. Il suffisso "aṃ" indica un accusativo singolare maschile o neutro, che può servire come oggetto diretto di un verbo o, in contesti poetici e mantrici, funzionare come enfasi.
    Pertanto, "gharathādhirūḍhaṃ" può essere tradotto letteralmente come "colui che è salito/montato sul carro" o "colui che cavalca il carro". Questa espressione è spesso usata per descrivere una divinità o un eroe epico che appare in una scena gloriosa o in battaglia, montato su un carro da guerra. È un'immagine comune nella letteratura epica e puranica indiana, che evoca immagini di maestosità, potere e preparazione al combattimento.
    amara agg. immortale, imperituro; sm. 1. dio, divinità
    purāri, sm. nemico di Pura
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  2. Il Nirukta di Yāska è un'opera antica che funge da commento al Nighaṇṭu, un elenco di parole difficili trovate nei Veda. Yāska è uno dei primi e più noti etimologi sanscriti, e il suo Nirukta è considerato il più antico trattato sistematico di etimologia, fonetica e semantica del sanscrito. L'opera mira a spiegare le parole vediche oscure, fornendo interpretazioni etimologiche per facilitarne la comprensione e l'interpretazione corretta.
    Nel Nirukta, Yāska analizza le parole attraverso la loro radice (dhatu), la loro forma morfologica, e il loro uso nei contesti vedici, cercando di rivelarne il significato intrinseco e le connessioni con altre parole o concetti. La sua metodologia includeva la divisione delle parole in categorie come nomi, verbi e particelle, e l'esame delle loro derivazioni e composizioni.
    Quindi, una traduzione che tiene conto del parere di Yāska potrebbe essere:
    "Con parole benefiche (śivena vacasā), ti invochiamo (vadāmasi), o Signore delle montagne (giriśa), per ottenere (accha) [la tua grazia/benedizione/protezione]."
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  3. Māṇikkavācakar è una figura storica e spirituale molto rispettata nell'induismo, particolarmente noto nella tradizione del Tamil Nadu, in India. È uno dei più importanti santi poeti del movimento bhakti e un devoto di Śiva. Le sue opere e i suoi contributi sono particolarmente significativi nella letteratura devozionale Tamil.
    Vissuto presumibilmente nel IX secolo, Māṇikkavācakar è meglio conosciuto per il suo lavoro tiruvācakam (o </i>tiruvasagam</i>), una collezione di poesie devozionali in lingua Tamil che esprimono profondamente il suo amore e la sua devozione per Śiva. Queste poesie sono note per la loro intensità emotiva, il loro lirismo e la loro profondità filosofica e spirituale.
    Māṇikkavācakar è spesso rappresentato nella letteratura e nell'arte come un esempio di totale dedizione e abbandono a Dio. La sua vita e il suo lavoro hanno avuto un impatto profondo sulla bhakti, un movimento devozionale incentrato sull'amore e la dedizione personale verso una divinità, che ha avuto un ruolo importante nella formazione della spiritualità indiana. Torna al testo

  4. Gli āḷvār e i nāyaṇār sono due gruppi distinti di santi poeti Tamil che hanno avuto un ruolo fondamentale nel movimento bhakti nell'India meridionale, particolarmente nei primi periodi medievali.
    Gli āḷvār erano devoti del dio Viṣṇu e della sua incarnazione, Kṛṣṇa.
    Il termine āḷvār significa "quelli immersi" in tamil, riferendosi alla loro totale immersione e devozione a Viṣṇu.
    Sono tradizionalmente dodici in numero e hanno composto inni in lode di Viṣṇu, noti come "Divya Prabandham", che sono tenuti in grandissima considerazione nella tradizione Vaishnavita del sud dell'India.
    Gli inni degli āḷvār sono stati fondamentali nella diffusione dei concetti di bhakti e nell'incorporazione della lingua e della cultura Tamil nella pratica religiosa Vaishnavita. Torna al testo

  5. I nāyaṇār erano devoti del dio Śiva.
    Il termine nāyaṇār si riferisce a un gruppo di 63 santi che hanno espresso il loro amore e devozione per Śiva attraverso poesie e canzoni.
    Le loro opere sono raccolte nel tirumurai, una raccolta di inni sacri che è considerata estremamente importante nella tradizione religiosa Tamil Saivita.
    Come gli Āḷvār, anche i nāyaṇār hanno avuto un ruolo significativo nel promuovere il bhakti e hanno contribuito alla crescita della letteratura e della cultura Tamil. Torna al testo
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La recitazione è dei Challakere Brothers.
Su www.saiveda.net il tutorial per la recitazione: tutorial
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śivena, agg. str. di śiva-, attraverso la favorevole, propizia
vacasā, s. n. str. sg. di vacasa-, per mezzo della parola

vac-, v. 2ª cl. P. , parlare, dire

tvā, forma atona pron. acc. sg. di tva-, tuo

tva, base pr. 2ª pers. sg. = tu

giriśa, s.m. voc. oh tu che abiti le montagne

giri*, s. sg. m. montagna, collina, rupe, altura

acchāḥ, nom. voc. m. pl. non ombreggiato, non scuro,
vadāmasi, v. c. 1 √vad- 1ª pers. pl. pres. noi parliamo, raccomandiamo
forma vedica che non esiste nel classico

yathā, cong., cosicché, affinché, che
naḥ, forma enclitica (atona) pr. prs. 1ª pers. pl. gen. ‘di noi’, ‘nostro’
sarvam, agg. acc. sg. di sarva- ‘tutto’
it, forma vedica per la particella id
avv. ved. 1- proprio, solo, soltanto 2- davvero, sicuramente
jagat, forma raddoppiata della rad. di 3ª cl. √gam-
s.n. acc. sg. ciò che si muove o è vivo, gente, genere umano; mondo, questo mondo, terra
ayakṣmam, agg. acc. sg. m. di ayakṣma-, non malato
sumanā, sumanāḥ, agg. nom. sg. m. / n. di sumanas, benevolo, favorevole
asat, ingiuntivo vedico di √as-, che sia così


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