अदिति

aditi

aditi
da Abel Bergaigne, La religion védique d’après les hymnes du ṛgveda, tome 3, p.88, 1878

Prima di iniziare l’analisi dei personaggi divini chiamati āditya, sarà utile studiare nelle prime pagine di questa sezione la loro madre aditi.

La parola aditi non è solo nel ṛgveda il nome di un personaggio divino, considerato principalmente come la madre degli āditya; ha anche, sia come sostantivo astratto che come aggettivo, degli usi che, in accordo con l’etimologia, permettono di fissarne il significato con maggiore precisione.

L’etimologia può essere data con certezza. La radice è 1 (presente dyati) “legare”, il cui participio dita in particolare è abbastanza comune negli inni, e da cui deriva con lo stesso assottigliamento della vocale in i, un sostantivo astratto diti “azione di legare” o “ stato di ciò che è legato” e con la privativa a, aditi “stato di ciò che non è legato, assenza di legame”, se il composto è semplicemente determinativo, oppure “che non ha legame, che è slegato”, se il composto è possessivo. Entrambi i significati sembrano essere appropriati per l’uso della parola aditi sia come sostantivo astratto sia come aggettivo. Contrariamente a un uso della lingua che risente di molte altre eccezioni, il composto determinativo e il composto possessivo non si distinguono per l’accentuazione: sono entrambi proparossitoni2. Rimandiamo al capitolo II, sezione III per l’interpretazione dei passaggi in cui la parola aditi è presa nel senso di ‘libertà’ o ‘libero’, non senza allusione al nome della dea o a quello dei suoi figli. Inoltre, come epiteto di divinità diverse, ha altri usi, il cui studio aiuterà a chiarire la sua applicazione che ne viene fatta alla madre degli āditya.

È facile capire che un personaggio il cui nome è rimasto in uso come aggettivo e funge in questa veste da epiteto per altre divinità, non avrebbe potuto assumere una chiara individualità, che la nozione ha dovuto rimanere più o meno fluttuante, e che era, più di ogni altro, adatto a portare le idee panteistiche che si trovano, inoltre, in uno stato di sviluppo più o meno avanzato nella maggior parte delle concezioni vediche. Infatti, è il carattere che presenta in una delle formule più notevoli del ṛgveda a questo riguardo: I, 89,103. “aditi è il cielo, aditi è l’atmosfera, aditi è la madre, lei4 è il padre, lei è il figlio. aditi è tutti gli dèi, le cinque razze. aditi è ciò che nasce, aditi è ciò che deve nascere. »

La costruzione della forma aditiḥ, con neutri e plurali non permette di considerarla qui come aggettivo attributivo. È infatti il carattere divino di aditi che viene successivamente identificato con i mondi e gli esseri elencati nel testo. In altri passaggi, invece, la parola aditi è ancora un semplice epiteto del cielo, del figlio o del padre. Inizieremo con il cielo.

Riceve sotto il nome di dyu la qualifica di aditi, dyaur aditiḥ V, 59, 85. Questa espressione che può essere tradotta con “il cielo sconfinato” è accompagnata dalla parola mātri “madre” in un verso dove si dice che il cielo, alto come una montagna, si gonfia di un dolce latte per le divinità che sembrano essere āditya, X, 63, 36. In questo versetto e nel precedente, X, 63, 27, secondo il quale gli stessi dèi sono nati dalla terra, dalle acque e da aditi, il terzo nome che sostituisce quello di cielo come ci si aspetterebbe in una formula del genere, si coglie la transizione dall’idea di cielo aditi a quella di aditi, madre degli āditya8.

Ma stiamo attenti a non concludere da ciò che la dea rappresenti puramente e semplicemente il cielo concepito come femmina. Senza insistere sul versetto 1,72,99, dove il nome di “madre aditi” è forse 10 applicato alla terra, e su questo tratto del versetto sopra citato “aditi è l’atmosfera” (cfr. IV, 55, 311 l’accostamento dei nomi di aditi e sindhu), possiamo dire che aditi si identifica, non solo con questo o quel mondo in particolare, ma in generale con tutti i mondi, cioè che rappresenta lo spazio “senza limiti”. Questo è già indicato nello stesso versetto da quest’altra caratteristica “aditi sono le cinque razze (le razze dei quattro punti cardinali e del cielo)”, che appare 12 riprodotto nel versetto VI, 51, 11 13. L’equivalenza tra aditi e la coppia formata da cielo e terra sembra provata anche da una formula ripetuta due volte: “O cielo e terra, aditi, proteggici” IV, 55,114; VII, 62, 415, l’uso del duale nel verbo e la costruzione del vocativo adite senza accento dopo un altro vocativo non permette di distinguere qui aditi dal cielo e dalla terra16. Nel versetto 1,94,1617, che fa da ritornello a un gran numero di inni, il poeta che compone lo stesso pāda dalla menzione di aditi e di quella dei tre mondi, il mare (atmosferico), la terra e il cielo, sembra identificare quella con questi. Questo spiega perché un altro poeta dice degli āditya, invocati con la loro madre aditi, che sono terrestri, celesti e acquatici X, 65, 918.

Passiamo ora ai testi che possono aiutare a chiarire la caratteristica del versetto sopra citato “aditi è il figlio”. Nella mitologia vedica, il figlio, quando si oppone al padre, è il più delle volte o il fuoco o soma del sacrificio, o il fuoco universale o soma come il prodotto il cui produttore riceve il nome di padre. Ora, la parola aditi designa nel versetto VIII, 19,1419 agni onorato con il sacrificio di un ceppo, cioè il fuoco del sacrificio. La stessa parola che compare nel versetto IV, 1, 1020sembra caratterizzare agni, come il più adatto di tutti gli dèi21. È anche nei testi che cercheremo di interpretare, applicato come epiteto o come attributo a soma. Si potrebbe pensare, a prima vista, che esprima l’universalità di agni e soma, presenti in tutti i mondi e quindi senza limiti. Ma sembra soprattutto designarli come liberi, cioè liberati dai vincoli in cui li tiene il loro celeste guardiano, cioè il padre. Questo è almeno ciò che sembra risultare per soma dal versetto VIII, 48, 222. Questo passaggio, infatti, può alludere al mito di soma che sfugge al padre malevolo e fa causa comune con indra (cfr. sotto la sezione F). Occorre confrontare il versetto dove la bevanda nascosta dei potenti, del santo che possiede tutti i beni, è chiamata “l’aquila libera” delle femmine celesti: personaggi mal designati, ma che possono essere solo i mitici sacerdoti , fanno partire queste aquile una dopo l’altra , V, 44, 1123. Questo è senza dubbio il soma, prima nascosto e tenuto dal celeste guardiano, poi liberato in forma di aquila, e identificato con il sole (cfr. versetto 7) che riappare di giorno in giorno. L’epiteto aditi “libero”, applicato a agni, assume un significato morale nel versetto I, 94, 1524 dove viene avvicinato alla parola anāgāsiva in virtù dell’associazione dell’idea di peccato e di quella di vincolo su cui insisteremo nel capitolo II: “Colui al quale, o dio libero, hai dato l’innocenza”. Ha lo stesso valore nel versetto I, 162, 2225 dove designa il cavallo sacrificale, simbolo del soma universale: “Che colui che è libero ci dia l’innocenza.” L’attribuzione ad agni e soma, cioè alle divinità figli, dell’epiteto aditi, potrebbe suggerire la formula “aditi è il figlio”. È ovvio che questa formula ha una portata più ampia nel contesto dal quale la stiamo staccando. Sembra implicare l’identità di essenza della madre e del figlio, poiché il carattere che alla fine domina nel personaggio di aditi è quello della madre. Il nome aditi è dato anche ad uno dei personaggi regolarmente annoverati tra gli āditya o figli di aditi, cioè aryaman IX, 81, 526.

Abbiamo visto aditi identificata, non solo con il figlio, ma con il padre. Questo tratto non sorprende dopo quanto è stato detto della doppia forma, maschile e femminile, del padre. Si spiega già direttamente col fatto che il cielo, al quale lo stesso passo ha assimilato aditi, è talvolta maschile, talvolta femminile. Il potente aditi nominato nel versetto IV, 3, 827 non è forse altro che il cielo designato nello stesso versetto con il nome di tvar. Ma l’idea del cielo non è l’unica che si ritrova nel concepimento del padre. La forma del padre che è designata con il nome di tvaṣṭṛ, in particolare, sembra addirittura non avere nulla in comune con essa. Ora, il termine aditi è applicato similmente nel versetto X, 92, 1428 a un personaggio che riceve contemporaneamente l’epiteto anarvana “invincibile”, le qualifiche di “supervisore delle razze” e “giovane maestro (o marito) della notte”, e che la menzione delle donne (celesti) che lo accompagnano ce lo deve far considerare non diverso da tvaṣṭṛ (cfr ibid. 1129). Per il padre, quindi, così come per il figlio, l’attribuzione dell’epiteto aditi “senza legami” può aver favorito l’identificazione con questa forma della madre chiamata aditi.

Il versetto I, 89, 1030 ci mostra ancora aditi identificata con tutti gli dèi presi insieme, così come il figlio, agni, viene identificato successivamente con ciascuno degli dèi presi separatamente nell’inno II, 1. Infine l’ultima caratteristica “aditi è ciò che nasce, aditi è ciò che deve nascere” implica soprattutto l’eternità di aditi, nozione suggerita anche dalla formula del versetto 1.166, 1231 “lungo (duraturo) come la legge di aditi”.

Rimane il tratto essenziale e unico veramente caratteristico del personagio di aditiaditi è la madre”. Ma prima di proseguire lo studio nella mitologia vedica, dobbiamo ancora rimarcare che questa madre, già identificata con il padre e con il figlio, riceve altrove i titoli di figlia e sorella. È chiamata figlia di dakṣa X, 72, 532. È vero che questo dakṣa è suo figlio oltre che suo padre “dakṣa nacque da aditi, aditi di dakṣa” X, 72 , 433. Questo paradosso richiama il noto mito di agni che genera le sue madri, e quello del figlio (agni o soma) che genera suo padre. Infatti il vocabolo dakṣa, che come aggettivo significa “abile”, è applicato ad agni III, 14, 734, e a soma IX, 61, 1835; 62.436; X, 144.137, e nel versetto X, 5, 738 dove si tratta ancora della nascita di dakṣa nel seno di aditi (cfr anche X, 64, 539), sembra che tale dakṣa non sia da distinguere da “agni, il primogenito della legge nella prima età del mondo, il toro-vacca”. Ma se questa interpretazione è adottata per dakṣa, padre e figlio di aditi, non dovrebbe essere estesa al composto dakṣapitvi applicato come epiteto a mitra e varuṇa VII, 66, 240, agli āditya, VI, 50, 241 (e agli stessi sacerdoti VIII, 52, 1042), non più che all’espressione sūnū dakṣasya applicata ugualmente a mitra e varuṇa VIII, 25, 543. Come lo prova, direttamente per quest’ultima, e indirettamente per il composto dakṣapitṛ, il paragone di nāpāta śavasaḥ “figlio della forza”, il vocabolo dakṣa deve essere inteso nel senso astratto di “abilità, intelligenza” che ha più spesso negli inni, e mitra e varuṇa o generalmente āditya “avendo intelligenza per padre” o “figlio dell’intelligenza” sono semplicemente gli dei “intelligenti”, come agni “ padre dell’intelligenza” (dakṣasya pitaram III, 27, 944) è il dio che la dona. Probabilmente è anche una personificazione dell’intelligenza designata dal nome astratto dakṣa che va riconosciuto nel dio con questo nome, annoverato tra gli āditya 1,89, 345; II, 27, 146. Non cercherò quindi nel concetto di dakṣa, padre degli āditya così come di aditi, la spiegazione del titolo dato a quest’ultimo di “sorella degli āditya”, tanto più che nello stesso versetto è chiamata madre dei rudra e figlia dei vasu, VIII, 101,15 (VIII, 90, 15) 47. Se, inoltre, paragoniamo questo passo a quello in cui un poeta dice agli insetti, che sembra allontanare attraverso una specie di incantesimo: “Il cielo è tuo padre, la terra tua madre, soma tuo fratello, aditi vostra sorella, I, 191, 648 saremo disposti a vedere nell’uno e nell’altro, e in genere in tutti i brani dove aditi perde il titolo di madre per prendere quello di figlia o sorella, le tracce di una confusione delle idee di madre e figlia avvenute sotto il suo nome, e che avrebbe permesso all’autore del versetto I,89,1049 di aggiungere alla caratteristica “aditi è il figlio” quest’ultimo tratto “aditi è la figlia”.

La “figlia” che viene chiamata espressamente figlia di aditi IX, 69, 350, e il cui concepimento sembra parallelo a quello del figlio, rappresenta la femmina divina come posseduta o attesa dagli uomini, cioè la sacra parola, la nuvola o l’alba. Ora, il concepimento della madre in generale, e di questa forma della madre chiamata aditi in particolare, sebbene come quella del padre comprenda l’idea del cielo, o anche di tutti i mondi, ha tuttavia, come quella del padre, un’altra base naturalistica. Questa base è per il padre la nozione stessa del figlio nella sua triplice forma di sole, fulmine, fuoco o bevanda sacrificale; è per la madre il concetto di figlia, nella sua triplice forma di alba, nuvola e parola sacra. L’identificazione della madre e della figlia è quindi perfettamente giustificata, a condizione che alla nozione di madre si aggiunga, come a quella di padre, un’idea di permanenza, e di conseguenza di mistero, estranea a quella della figlia, come a quella del figlio. Il triplice fondamento, naturalistico e liturgico, dei personaggi della figlia e della madre, si trova anche sotto il mito della vacca divina il cui nome aditi riceve espressamente, dhenur aditiḥ I, 153, 351, gām … aditim VIII, 101, 15—> vedi47, e in generale sotto quello di femmine celesti quali hotrā bhāratī, iḷā e soprattutto sarasvatī, con cui la nostra dea viene paragonata nel versetto II, 1,1152. Identificheremo anche direttamente nel carattere di aditi i tratti presi in prestito dalla parola sacra, dall’alba e dalla nuvola.

La “mucca divina, proveniente dagli dèi, che conosce la parola, che parla e che si avvicina con tutti i pensieri” VIII, 101.1653, in un versetto subito dopo la menzione della mucca aditi, non può essere che aditi stessa . Altrove, VIII, 18, 754, il poeta, mentre chiede aditi di venire in suo aiuto durante il giorno, la designa nello stesso tempo sotto il nome di mati “pietà, preghiera”. È nello stesso ordine di idee che si spiega il versetto secondo il quale aditi, e con lei le pietre da schiacciare, hanno cantato un inno a indra, V, 31,555. Nelle prime due almeno di queste citazioni, aditi rappresenta il sacro verbo concepito come dimorante in cielo e di là discendente sulla terra; ma la preghiera terrena è nondimeno il primo fondamento di tale nozione. È forse ancora una volta come personificazione della preghiera che aditi è collegata a Brahmanas pati VI, 75.1756.

D’altra parte, a aditi si chiede la luce IV, 25, 357, cfr. X, 36.358; celebriamo la luce imperitura di aditi VII, 82, 1059, cfr. I, 136, 360, e l’aurora è chiamata nel versetto I, 113, 1961 il volto (la manifestazione) di aditi, nello stesso tempo in cui col nome di madre degli dei, sembra essere assimilata ad aditi stessa. È quindi lecito dire che la nozione di aditi abbraccia quella di aurora.

Abbraccia anche quello della nuvola. È quanto si può dedurre dall’assimilazione della nostra dea ad un’altra forma della madre il cui nome stesso sembra essere preso in prestito dalla nuvola, cioè pṛśni Questa assimilazione risulta dalle relazioni stabilite tra aditi e i marut o i rudra, figli di pṛśni. I marut sono infatti invocati con aditi, VIII, 27, 562, in un inno dove sembrano confusi con gli āditya. Ma l’argomento decisivo è il titolo di madre dei rudra, di cui abbiamo già notato l’attribuzione fatta al versetto VIII, 101, 15 —> vedi 47 ad aditi. — Sembra, inoltre, che nel versetto X, 11, 263, aditi non si distingua dalla gandharvī, detta la donna delle acque, e che rappresenta certamente la nube.

Un punto particolarmente interessante da studiare è quello che riguarda i rapporti di aditi con soma. È chiamato l’ombelico dell’ambrosia VIII, 101, 15—> vedi 47, e questa espressione trova la sua spiegazione più soddisfacente nell’assimilazione di aditi al padre, in particolare al padre di soma, essendo l’ombelico nelle idee vediche il simbolo di paternità. In altre parole, l’ombelico dell’ambrosia è il luogo di origine dell’ambrosia o soma, ma il termine ombelico suggerisce soprattutto l’idea di paternità. L’idea di maternità è invece suggerita dal termine upastha “seno” che però va inteso nel senso più generale di “luogo di origine” nel versetto IX, 26.164 “I sacerdoti hanno purificato i potenti ( soma) sul seno di aditi con le loro dita e le loro preghiere”, e al versetto IX, 71, 565 “Le dieci sorelle (le dieci dita) l’hanno lanciato come un carro sul seno di aditi”, cfr . X, 70, 766. Poco importa inoltre se si tratta qui del sacrificio terreno o del sacrificio celeste, poiché questi sacrifici sono comunque assimilati, e il luogo della cerimonia, o forse la vasca stessa, ha solo ricevuto il nome di aditi sulla terra solo perché aditi è la madre o il luogo di origine di soma in cielo. È in questo senso che il soma terreno è paragonato al latte di aditi IX, 96,1567.

Troveremo più avanti il versetto VIII, 12, 1468, dove si dice che aditi produsse il soma per indra. Se confrontato con l’affermazione che la madre di indra gli dà il soma da bere fin dalla nascita, ci servirà, con altre considerazioni, a rendere plausibile l’ipotesi che aditi non differisce essenzialmente dalla madre di indra. La vedremo assumere in questa veste, se riconosciuta, e comunque nel mito di mārtāṇḍa, un carattere equivoco analogo a quello del padre, e addirittura diventare una vera matrigna. Quest’ultima concezione del carattere di aditi fornisce una spiegazione molto semplice della formula per “escludere aditi”, senza bisogno di supporre, come fanno MM. Roth and Grassmann, un vocabolo aditi di diversa etimologia, con il significato di “miseria”. Questa congettura sembra addirittura del tutto inammissibile per il versetto I, 152, 669 che si trova proprio in un inno a mitra e varuṇa, figlio di aditi. Ma la formula così spiegata in questo inno lo deve essere allo stesso modo nel versetto IV, 2,1170: “Dai diti e escludi aditi”. Quanto alla parola diti, non dobbiamo giustificarne etimologicamente l’uso in questo passaggio, come vedremo. Troviamo l’opposizione della parola diti e della parola aditi nel versetto V, 62, 871: “O varuṇa e mitra, voi salite la fossa (l’atmosfera); da lì vedete aditi e diti”; Nessuno contesta che il vocabolo aditi sia qui preso nel suo senso ordinario, e si è d’accordo ritenere il vocabolo diti si è formato dopo per essere opposto al primo, più o meno come il vocabolo asura, fissato nel senso di nemico degli dèi, a cui più tardi si è opposto il vocabolo sura, “dio”. Il vocabolo diti del versetto IV, 2, 1172 non mi sembra avere altra origine, ed il suo significato è, a mio avviso, determinato in entrambi i passi da quello del vocabolo aditi al quale è opposto. Nel versetto V, 62, 873, aditi e diti, visti da mitra e varuṇa, designano probabilmente l’uno lo spazio illimitato, la dimora del mistero, l’altro lo spazio racchiuso nei limiti visibili del mondo, cioè tra il disco della terra e la volta del cielo. Nel versetto IV, 2, 1174, aditi essendo considerata un genio del male, diti diventa per il solo fatto dell’opposizione un genio benefico, carattere che conserva peraltro nel versetto VII, 15, 1275, senza essere esplicitamente opposto a aditi. Al contrario, nella mitologia brahmanica, essendo aditi considerata solo come la madre degli dèi, diti è diventata la madre dei nemici degli dèi, cioè daitya.





  1. 1 √dā-, vb. cl. 4, legare 

  2. Un proparossitono è una parola che ha l’accento acuto sulla terzultima sillaba, sinonimo di sdrucciolo 

  3. I.89.10  
    áditirdyáuráditirantárikṣamáditirmātā́ sá pitā́ sá putráḥ ǀ
    víśve devā́ áditiḥ páñca jánā áditirjātámáditirjánitvam ǁ 

  4. Letteralmente « è il padre, è il figlio ». Il genere del soggetto è qui una questione di linguaggio e non riguarda il significato. Il pronome soggetto può assumere in sanscrito il genere dell’attributo come in latino in “ea demum firma amicitia est”. Questo uso sintattico è estraneo al francese. Ma dire di aditi che lei è il padre significa proprio attribuirle il sesso maschile. 

  5. V.59.08
    mímātu dyáuráditirvītáye naḥ sám dā́nucitrā uṣáso yatantām ǀ
    ā́cucyavurdivyám kóśametá ṛ́ṣe rudrásya marúto gṛṇānā́ḥ ǁ 

  6. X.63.03
    ébhyo mātā́ mádhumatpínvate páyaḥ pīyū́ṣam dyáuráditirádribarhāḥ ǀ
    uktháśuṣmānvṛṣabharā́ntsvápnasastā́m̐ ādityā́m̐ ánu madā svastáye ǁ 

  7. X.63.2
    víśvā hí vo namasyā́ni vándyā nā́māni devā utá yajñíyāni vaḥ ǀ
    yé sthá jātā́ áditeradbhyáspári yé pṛthivyā́sté ma ihá śrutā hávam ǁ 

  8. Comparez encore le vers VI, 51, 4 où les āditya, invoqués avec leur mère, sont appelés en même temps les héros (les fils) du ciel.
    VI.51.04 riśā́dasaḥ sátpatīm̐rádabdhānmahó rā́jñaḥ suvasanásya dātṝ́n ǀ
    yū́naḥ sukṣatrā́nkṣáyato divó nṝ́nādityā́nyāmyáditim duvoyú ǁ 

  9. I.72.09
    ā́ yé víśvā svapatyā́ni tasthúḥ kṛṇvānā́so amṛtatvā́ya gātúm ǀ
    mahnā́ mahádbhiḥ pṛthivī́ ví tasthe mātā́ putráiráditirdhā́yase véḥ ǁ 

  10. Si potrebbe anche pensare di distinguere pṛthivi nel terzo pāda da mātā aditiḥ nel quarto. 

  11. IV.55.03
    prá pastyā́máditim síndhumarkáiḥ svastímīḷe sakhyā́ya devī́m ǀ
    ubhé yáthā no áhanī nipā́ta uṣā́sānáktā karatāmádabdhe ǁ 

  12. Essendo questo testo un’enumerazione di divinità, l’identificazione non è certa, ma il semplice confronto è comunque interessante. 

  13. VI.51.11
    té na índraḥ pṛthivī́ kṣā́ma vardhanpūṣā́ bhágo áditiḥ páñca jánāḥ ǀ
    suśármāṇaḥ svávasaḥ sunīthā́ bhávantu naḥ sutrātrā́saḥ sugopā́ḥ ǁ 

  14. IV.55.01
    kó vastrātā́ vasavaḥ kó varūtā́ dyā́vābhūmī adite trā́sīthām naḥ ǀ
    sáhīyaso varuṇa mitra mártātkó vo’dhvaré várivo dhāti devāḥ ǁ 

  15. VII.62.04
    dyā́vābhūmī adite trā́sīthām no yé vām jajñúḥ sujánimāna ṛṣve ǀ
    mā́ héḷe bhūma váruṇasya vāyórmā́ mitrásya priyátamasya nṛṇā́m ǁ 

  16. Confrontiamo il raffronto delle parole aditiḥ e dyāvāpṛthivī in un’enumerazione al versetto X, 66, 4. Se è meno decisivo, ha il vantaggio di confermare la mia interpretazione dei due brani citati nel testo, respingendo quella di M. Hillebrandt (ueber die Gœttin adit, p. 46) secondo il quale adite sarebbe il vocativo duale di un vocabolo adita, peraltro sconosciuto. 

  17. I.94.16
    sá tvámagne saubhagatvásya vidvā́nasmā́kamā́yuḥ prá tirehá deva ǀ
    tánno mitró váruṇo māmahantāmáditiḥ síndhuḥ pṛthivī́ utá dyáuḥ ǁ 

  18. È forse anche come rappresentante dell’universo che aditi unisce gli uomini ai marut, i loro genitori, X, 64, 13. Cf. ancora il verso I, 185, 3 secondo il quale il suo destino, dātra, il suo tesoro, è dato al cantore dal cielo e dalla terra. Cf. infine X, 132, 6; 63, 10. 

  19. VIII.19.14
    samídhā yó níśitī dā́śadáditim dhā́mabhirasya mártyaḥ ǀ
    víśvétsá dhībhíḥ subhágo jánām̐ áti dyumnáirudná iva tāriṣat ǁ 

  20. IV.01.10
    sá tū́ no agnírnayatu prajānánnácchā rátnam devábhaktam yádasya ǀ
    dhiyā́ yádvíśve amṛ́tā ákṛṇvandyáuṣpitā́ janitā́ satyámukṣan ǁ 

  21. Non credo si debba cercare, come lo fa M. Hillebrandt loc. cit p. 12, un’opposizione di idee tra aditiḥ et atitiḥ : qui c’è, secondo me, solo un gioco di parole. 

  22. VIII.48.2
    antáśca prā́gā áditirbhavāsyavayātā́ háraso dáivyasya ǀ
    índavíndrasya sakhyám juṣāṇáḥ śráuṣṭīva dhúramánu rāyá ṛdhyāḥ ǁ 

  23. V.44.11
    śyená āsāmáditiḥ kakṣyó mádo viśvávārasya yajatásya māyínaḥ ǀ
    sámanyámanyamarthayantyétave vidúrviṣā́ṇam paripā́namánti té ǁ 

  24. I.94.15
    yásmai tvám sudraviṇo dádāśo’nāgāstvámadite sarvátātā ǀ
    yám bhadréṇa śávasā codáyāsi prajā́vatā rā́dhasā té syāma ǁ 

  25. I.162.22
    sugávyam no vājī́ sváśvyam puṃsáḥ putrā́m̐ utá viśvāpúṣam rayím ǀ
    anāgāstvám no áditiḥ kṛṇotu kṣatrám no áśvo vanatām havíṣmān ǁ 

  26. IX.81.05
    ubhé dyā́vāpṛthivī́ viśvaminvé aryamā́ devó áditirvidhātā́ ǀ
    bhágo nṛ́śáṃsa urvántárikṣam víśve devā́ḥ pávamānam juṣanta ǁ 

  27. IV.03.08
    kathā́ śárdhāya marútāmṛtā́ya kathā́ sūré bṛhaté pṛcchyámānaḥ ǀ
    práti bravó’ditaye turā́ya sā́dhā divó jātavedaścikitvā́n ǁ 

  28. X.92.14
    viśā́māsā́mábhayānāmadhikṣítam gīrbhíru sváyaśasam gṛṇīmasi ǀ
    gnā́bhirvíśvābhiráditimanarváṇamaktóryúvānam nṛmáṇā ádhā pátim ǁ 

  29. X.92.11
    té hí dyā́vāpṛthivī́ bhū́riretasā nárāśáṃsaścáturaṅgo yamó’ditiḥ ǀ
    devástváṣṭā draviṇodā́ ṛbhukṣáṇaḥ prá rodasī́ marúto víṣṇurarhire ǁ 

  30. I.89.10
    áditirdyáuráditirantárikṣamáditirmātā́ sá pitā́ sá putráḥ ǀ
    víśve devā́ áditiḥ páñca jánā áditirjātámáditirjánitvam ǁ 

  31. I.166.12
    tádvaḥ sujātā maruto mahitvanám dīrghám vo dātrámáditeriva vratám ǀ
    índraścaná tyájasā ví hruṇāti tájjánāya yásmai sukṛ́te árādhvam ǁ 

  32. X.72.05
    áditirhyájaniṣṭa dákṣa yā́ duhitā́ táva ǀ
    tā́m devā́ ánvajāyanta bhadrā́ amṛ́tabandhavaḥ ǁ 

  33. X.72.04
    bhū́rjajña uttānápado bhuvá ā́śā ajāyanta ǀ
    áditerdákṣo ajāyata dákṣādváditiḥ pári ǁ 

  34. III.14.07
    túbhyam dakṣa kavikrato yā́nīmā́ déva mártāso adhvaré ákarma ǀ
    tvám víśvasya suráthasya bodhi sárvam tádagne amṛta svadehá ǁ 

  35. IX.61.18
    pávamāna rásastáva dákṣo ví rājati dyumā́n ǀ
    jyótirvíśvam svárdṛśé ǁ 

  36. IX.64.2
    ásāvyaṃśúrmádāyāpsú dákṣo giriṣṭhā́ḥ ǀ
    śyenó ná yónimā́sadat ǁ 

  37. X.144.01
    ayám hí te ámartya índurátyo ná pátyate ǀ
    dákṣo viśvā́yurvedháse ǁ 

  38. X.05.07
    ásacca sácca paramé vyómandákṣasya jánmannáditerupásthe ǀ
    agnírha naḥ prathamajā́ ṛtásya pū́rva ā́yuni vṛṣabháśca dhenúḥ ǁ 

  39. X.64.05
    dákṣasya vādite jánmani vraté rā́jānā mitrā́váruṇā́ vivāsasi ǀ
    átūrtapanthāḥ pururátho aryamā́ saptáhotā víṣurūpeṣu jánmasu ǁ 

  40. VII.66.02
    yā́ dhāráyanta devā́ḥ sudákṣā dákṣapitarā ǀ
    asuryā́ya prámahasā ǁ 

  41. VI.50.02
    sujyótiṣaḥ sūrya dákṣapitṝnanāgāstvé sumaho vīhi devā́n ǀ
    dvijánmāno yá ṛtasā́paḥ satyā́ḥ svárvanto yajatā́ agnijihvā́ḥ ǁ 

  42. VIII.52.10 ——— 

  43. VIII.25.05
    nápātā śávaso maháḥ sūnū́ dákṣasya sukrátū ǀ
    sṛprádānū iṣó vā́stvádhi kṣitaḥ ǁ 

  44. III.27.09
    dhiyā́ cakre váreṇyo bhūtā́nām gárbhamā́ dadhe ǀ
    dákṣasya pitáram tánā ǁ 

  45. I.89.03
    tā́npū́rvayā nivídā hūmahe vayám bhágam mitrámáditim dákṣamasrídham ǀ
    aryamáṇam váruṇam sómamaśvínā sárasvatī naḥ subhágā máyaskarat ǁ 

  46. II.27.01
    imā́ gíra ādityébhyo ghṛtásnūḥ sanā́drā́jabhyo juhvā́ juhomi ǀ
    śṛṇótu mitró aryamā́ bhágo nastuvijātó váruṇo dákṣo áṃśaḥ ǁ 

  47. VIII.101.15
    mātā́ rudrā́ṇām duhitā́ vásūnām svásādityā́nāmamṛ́tasya nā́bhiḥ ǀ
    prá nú vocam cikitúṣe jánāya mā́ gā́mánāgāmáditim vadhiṣṭa ǁ  2 3 4

  48. I.191.06
    dyáurvaḥ pitā́ pṛthivī́ mātā́ sómo bhrā́tā́ditiḥ svásā ǀ
    ádṛṣṭā víśvadṛṣṭāstíṣṭhateláyatā sú kam ǁ 

  49. I.89.10 áditirdyáuráditirantárikṣamáditirmātā́ sá pitā́ sá putráḥ ǀ
    víśve devā́ áditiḥ páñca jánā áditirjātámáditirjánitvam ǁ 

  50. IX.69.03
    ávye vadhūyúḥ pavate pári tvací śrathnīté naptī́ráditerṛtám yaté ǀ
    hárirakrānyajatáḥ saṃyató mádo nṛmṇā́ śíśāno mahiṣó ná śobhate ǁ 

  51. I.153.03
    pīpā́ya dhenúráditirṛtā́ya jánāya mitrāvaruṇā havirdé ǀ
    hinóti yádvām vidáthe saparyántsá rātáhavyo mā́nuṣo ná hótā ǁ 

  52. II.01.11
    tvámagne áditirdeva dāśúṣe tvám hótrā bhā́ratī vardhase girā́ ǀ
    tvámíḷā śatáhimāsi dákṣase tvám vṛtrahā́ vasupate sárasvatī ǁ 

  53. VIII.101.16
    vacovídam vā́camudīráyantīm víśvābhirdhībhírupatíṣṭhamānām ǀ
    devī́m devébhyaḥ páryeyúṣīm gā́mā́ māvṛkta mártyo dabhrácetāḥ ǁ 

  54. VIII.18.07
    utá syā́ no dívā matíráditirūtyā́ gamat ǀ
    sā́ śáṃtāti máyaskaradápa srídhaḥ ǁ 

  55. V.31.5
    vṛ́ṣṇe yátte vṛ́ṣaṇo arkámárcāníndra grā́vāṇo áditiḥ sajóṣāḥ ǀ
    anaśvā́so yé paváyo’rathā́ índreṣitā abhyávartanta dásyūn ǁ 

  56. VI.75.17
    yátra bāṇā́ḥ sampátanti kumārā́ viśikhā́ iva ǀ
    tátrā no bráhmaṇaspátiráditiḥ śárma yacchatu viśvā́hā śárma yacchatu ǁ 

  57. IV.25.03
    kó devā́nāmávo adyā́ vṛṇīte ká ādityā́m̐ áditim jyótirīṭṭe ǀ
    kásyāśvínāvíndro agníḥ sutásyāṃśóḥ pibanti mánasā́vivenam ǁ 

  58. X.36.03
    víśvasmānno áditiḥ pātváṃhaso mātā́ mitrásya váruṇasya revátaḥ ǀ
    svárvajjyótiravṛkám naśīmahi táddevā́nāmávo adyā́ vṛṇīmahe ǁ 

  59. VII.82.10
    asmé índro váruṇo mitró aryamā́ dyumnám yacchantu máhi śárma sapráthaḥ ǀ
    avadhrám jyótiráditerṛtāvṛ́dho devásya ślókam savitúrmanāmahe ǁ 

  60. I.163.03
    ási yamó ásyādityó arvannási tritó gúhyena vraténa ǀ
    ási sómena samáyā vípṛkta āhúste trī́ṇi diví bándhanāni ǁ 

  61. I.113.19
    mātā́ devā́nāmáditeránīkam yajñásya ketúrbṛhatī́ ví bhāhi ǀ
    praśastikṛ́dbráhmaṇe no vyúcchā́ no jáne janaya viśvavāre ǁ 

  62. VIII.27.05
    ā́ no adyá sámanaso gántā víśve sajóṣasaḥ ǀ
    ṛcā́ girā́ máruto dévyádite sádane pástye mahi ǁ 

  63. X.11.02
    rápadgandharvī́rápyā ca yóṣaṇā nadásya nādé pári pātu me mánaḥ ǀ
    iṣṭásya mádhye áditirní dhātu no bhrā́tā no jyeṣṭháḥ prathamó ví vocati ǁ 

  64. IX.26.01
    támamṛkṣanta vājínamupásthe áditerádhi ǀ
    víprāso áṇvyā dhiyā́ ǁ 

  65. IX.71.05
    sámī rátham ná bhuríjoraheṣata dáśa svásāro áditerupástha ā́ ǀ
    jígādúpa jrayati górapīcyám padám yádasya matúthā ájījanan ǁ 

  66. X.70.07
    ūrdhvó grā́vā bṛhádagníḥ sámiddhaḥ priyā́ dhā́mānyáditerupásthe ǀ
    puróhitāvṛtvijā yajñé asmínvidúṣṭarā dráviṇamā́ yajethām ǁ 

  67. IX.96.15
    eṣá syá sómo matíbhiḥ punānó’tyo ná vājī́ táratī́dárātīḥ ǀ
    páyo ná dugdhámáditeriṣirámurvíva gātúḥ suyámo ná vóḷhā ǁ 

  68. VIII.12.14
    utá svarā́je áditiḥ stómamíndrāya jījanat ǀ
    purupraśastámūtáya ṛtásya yát ǁ 

  69. I.152.06
    ā́ dhenávo māmateyámávantīrbrahmapríyam pīpayantsásminnū́dhan ǀ
    pitvó bhikṣeta vayúnāni vidvā́nāsā́vívāsannáditimuruṣyet ǁ 

  70. IV.2.11
    cíttimácittim cinavadví vidvā́npṛṣṭhéva vītā́ vṛjinā́ ca mártān ǀ
    rāyé ca naḥ svapatyā́ya deva dítim ca rā́svā́ditimuruṣya ǁ 

  71. V.62.8
    híraṇyarūpamuṣáso vyúṣṭāváyaḥsthūṇamúditā sū́ryasya ǀ
    ā́ rohatho varuṇa mitra gártamátaścakṣāthe áditim dítim ca ǁ 

  72. IV.02.11
    cíttimácittim cinavadví vidvā́npṛṣṭhéva vītā́ vṛjinā́ ca mártān ǀ
    rāyé ca naḥ svapatyā́ya deva dítim ca rā́svā́ditimuruṣya ǁ 

  73. V.62.08
    híraṇyarūpamuṣáso vyúṣṭāváyaḥsthūṇamúditā sū́ryasya ǀ
    ā́ rohatho varuṇa mitra gártamátaścakṣāthe áditim dítim ca ǁ 

  74. IV.02.11
    cíttimácittim cinavadví vidvā́npṛṣṭhéva vītā́ vṛjinā́ ca mártān ǀ
    rāyé ca naḥ svapatyā́ya deva dítim ca rā́svā́ditimuruṣya ǁ 

  75. VII.15.12
    tvámagne vīrávadyáśo deváśca savitā́ bhágaḥ ǀ
    dítiśca dāti vā́ryam ǁ